Oggi per Moncalvo sarà il giorno di conferimento ufficiale del titolo di “Città dell’Olio”, a testimonianza della tradizione olivicola locale. Prima “Città dell’Olio” dell’Astigiano che stamattina ospita una tavola rotonda sul ruolo dell’olio nel nostro territorio: dalla tutela del paesaggio alla gastronomia, passando per l’arte e il turismo.
Nel condividere il lieto evento mi compiaccio nel ricordare il can can fatto su questa testata, datato circa un anno fa, sulle potenzialità offerte dal trend di coltivazione olearia nell’Astigiano, supportata dalle antiche origini e da quell'accidente di cambiamento climatico. Beh, sì, sui colli dell'Astigiano, così magnificamente disegnati da vigneti, inframezzati da più recenti noccioleti, iniziavano e iniziano a non mancare neppure gli olivi. Poca roba rispetto ad un lontano passato, ma presenza in crescita nel numero di piante e nei litri d’olio prodotto. Furono molto probabilmente i Liguri a portare anche da noi la coltivazione dell’olivo e diversi secoli dopo i Romani si trovarono la pappa già bella che pronta. Nel medioevo il picco di olivi si può collocare intorno al 1200 e la toponomastica odierna ne porta qualche testimonianza, come a San Marzano Oliveto, dove la coltivazione era così diffusa da aggiungersi al nome del borgo, o per la Strada Oliva tra Grazzano Badoglio e Patro di Moncalvo. Testimonianze che si sommano con storie e cronache del passato come quelle raccontate da Gian Secondo De Canis, avvocato, storico e numismatico con origini famigliari di Castagnole delle Lanze, nel suo Trattato statistico di inizio Ottocento: “Nell’Astigiana coltivansi pure gl’olivi, siccome ne risulta e dal nome delle regioni, che sulla faccia meridionale delle colline da Castelnuovo d’Asti a Cocconato s’incontrano dette l’Oliveto, l’Olivazzo (..). Che anzi in alcuni di quei colli delle piante d’essi tuttora sussistono, (…), ma e le guerre del XVII secolo, i freddi venti di Settentrione, che essendosi abbassati quei colli per via dell’agricoltura, presero un assoluto predominio su quelle vette e finalmente l’orrido gelo del 1705 federo perire quell’albero utilissimo”. Che dire poi della macina in pietra per frangere le olive, databile tra il XIII e XIV secolo, conservata nel parco del castello di Pino d’Asti?
Da non molto la coltivazione è stata ripresa da alcuni pionieri, supportati dalla passione e dalla storia. Tanto da avere l’Astigiano al terzo gradino del podio per presenza di piante a livello regionale, dopo il Torinese e subito dopo l’Alessandrino. Al tempo avevo suggerito anche un possibile itinerario turistico che toccasse l’aura del ricordo giusto a San Marzano Oliveto e a Pino d’Asti, per poi trovare gustosi apici oleari proprio a Moncalvo, a riprova che anche dalle nostre parti l’olivicoltura sia ben presente, da quando sulla collina di Patro è sorto, diciotto anni or sono, un grande oliveto. Visione di Valentino Veglio, aiutato da Piero e Gilda, padre e madre. Dovevano essere poche decine di piante, ma poi diventarono 450. Oggi, sui terreni sopra la Cascina Coletto dove sorge l’azienda Veglio, gli olivi sono ben oltre mille.
Per sostenere il nuovo richiamo da gastronauti, per tener vivo il racconto di un nuovo settore agricolo e per sottolineare, orgoglioso come non mai, che all’Astigiano non mancasse proprio nulla, avevo anche ideato un contest fotografico, Giro d’Olio, promosso su questa testata. Invito a fotografare gli olivi dell’Astigiano a cui avevano risposto tantissimi lettori, vedendosi poi pubblicate le loro immagini. Immagini che sono un signor data base a disposizione della neo “Città dell’Olio” e non solo.