Per accompagnarti nella lettura di questa intervista ti consiglio la canzone Buttalo via, di Mina, contenuta nella playlist "Orgoglio Astigiano" su Spotify
Amo e consumo i prodotti dell'Antica Distilleria Quaglia da qualche anno, ormai. Ricordo benissimo il primo sorso: ero con amici in un ristorante di Oviglio, nell'Alessandrino.
Sul tavolo c'era una bottiglia (bellissima, tra l'altro) di liquore alla violetta.
È stato amore immediato. Alla vista, all'olfatto e al gusto. Intervistare Carlo Quaglia, attuale guida della Distilleria, è stato come fare un viaggio all'interno delle mie memorie sensoriali. Con la mente, sono ritornata proprio a quella sera.
53 anni, Carlo è nato a Torino, ma ha sempre vissuto a Castelnuovo Don Bosco, cuore pulsante di un'azienda meravigliosa. Un grande Orgoglio Astigiano, di cui non potevo non scrivere.
Come e quando nasce l'Antica Distilleria Quaglia?
Nasce nel 1890 a Castelnuovo Don Bosco. Ad oggi siamo ancora, in parte, nella sede storica, comprata nel 1903 dal mio bisnonno. Era una vecchia fornace convertita poi in distilleria. In cento e più anni di storia, abbiamo fatto tanti interventi. Avevamo un'attività di ristorazione a Torino, che poi è stata venduta durante le due guerre, concentrando le forze sulla distillazione e sulla produzione di liquori.
Qual è il rapporto che lega la Distilleria al territorio astigiano?
Siamo legati a doppio filo a questo territorio, in cui siamo presenti da oltre 130 anni. Castelnuovo Don Bosco è un po' una terra di mezzo; riceviamo anche l'influenza di Torino, oltre che dell'Astigiano. Tra la nostra azienda e il territorio c'è sicuramente un rapporto molto importante e solido.
Avete mai pensato di trasferire l'azienda?
No, abbiamo intenzione di rimanere ancora qui per anni. Innegabilmente, negli ultimi tempi ci siamo guardati attorno e tra non molto apriremo un nuovo stabilimento, a Chieri, per esigenze di produzione, senza però chiudere la base di Castelnuovo Don Bosco, che resta e resterà l'elemento originario. Vogliamo implementare strutture e magazzini, ma continuiamo a essere legati all'Astigiano, alla sua vocazione vitivinicola, alle materie prime, alla cultura, alla storia. Lo stabilimento di Chieri aprirà nel 2026, abbiamo iniziato i lavori da poco e ora stiamo adattando la struttura alle attuali normative.
Di che fatturato parliamo? Le vendite in Italia da che percentuale sono rappresentate? E a livello di mercato estero?
L’azienda è in crescita, il fatturato di quest’anno tocca quasi 9 milioni di euro, per il 70% sul mercato nazionale, con i marchi Quaglia e Berto, ma anche con marchi terzi. Il restante 30% invece è a marchio Quaglia, con vendite in 50 paesi esteri. Per lo più, ci concentriamo sugli USA e sull'Inghilterra. Ultimamente stiamo investendo molto anche in Sudamerica, dove il Made in Italy è sempre più apprezzato.
Quanti dipendenti conta l’azienda?
Oggi contiamo una trentina di dipendenti, tra la parte legata agli uffici, quella di ricerca sviluppo e qualità e per le attività operative di confezionamento e logistica.
In un’azienda storica come la vostra trovano spazio anche le nuove generazioni?
Sì, teniamo molto a questo aspetto. Oggi c'è un pool di dipendenti molto coeso. L'azienda non sono solo io, ma sono soprattutto loro. Siamo sempre stati molto attenti anche all'equilibrio tra uomini e donne. L'età media dei nostri dipendenti si attesta intorno ai 30-35 anni: assumiamo molti giovani, impegnandoci a formarli, anche perché non esiste una scuola dedicata. Li formi e cerchi di tenerteli stretti, di valorizzarli a dovere. L'aspetto ancor più bello è che i nostri ragazzi e le nostre ragazze arrivano da backround molto variegati: si passa dall'operaio all'ex avvocato, piuttosto che al laureato in Scienze Gastronomiche all'Università di Pollenzo, per esempio. Figure viste magari come inusuali, ma molto capaci. Siamo un'azienda giovane e dinamica. Io sono la quarta generazione di Quaglia che segue l’attività, ho due figli molto giovani, di 19 e 21 anni, con cui bisognerà poi capire cosa si potrà fare, una volta che avranno terminato il loro percorso di studi. Tengo molto ai giovani e alla loro formazione.
Frequentare la diversità per imparare a navigare nel mare della vita
Trovo incantevole il messaggio che sta trasmettendo Carlo in quest'intervista. Valorizzare i giovani, lasciare loro il palco, dando loro, però, i giusti strumenti per poter andare in scena nella maniera migliore. E, soprattutto, premiare i percorsi diversi, quelli magari divergenti rispetto alle canoniche strade che una persona si aspetterebbe di incontrare. Mi rendo sempre più conto, ogni giorno che passa, di quanto sia importante confrontarsi con persone che arrivano da ambienti diversi, che hanno storie differenti, con età magari opposte. Tutti elementi che aiutano ad ampliare i propri orizzonti, a superare la prospettiva individualistica, in nome di una visione più estesa, quasi aerea, di un'apertura mentale che va allenata quotidianamente, come fosse un muscolo. Frequentare la diversità, alimentarsene, per conoscere meglio se stessi e gli altri, per diventare sempre più flessibili. Per imparare a navigare a dovere nel mare della vita.
Quali sono i vostri prodotti di punta? Colpisce molto anche la linea Vintage, liquori ricercati con gli ingredienti più disparati, come viola, rosa, rabarbaro, chinotto…
La linea Vintage è quella che oggi rappresenta metà del fatturato. Si tratta di liquori nati tutti dai miei bisnonni, che col tempo abbiamo poi cercato di rendere attuali. Il resto del fatturato viene diviso in gin, liquori d’erbe, vermouth, amari e grappe. La Vintage è la linea più iconica per l’azienda, che ci fa conoscere di più nel mondo, quella più identitaria e ha un principio di naturalità molto forte. Il legame con la materiale prima, il fatto che si usino pochi aromi e coadiuvanti, ma molta frutta, erbe, fiori, oli essenziali e parti aromatiche di derivazione agricola, sono tutti elementi che ci permettono di avere qualità molto alta a un prezzo competitivo. E, dettaglio che non è un dettaglio, tutti gli estratti usati per queste produzioni vengono fatti internamente in azienda.
Prossimi progetti e obiettivi da raggiungere a livello aziendale?
Sicurazione continuare l'esplorazione di nuovi mercati esteri. Un'operazione che non è semplice, ma abbiamo la possibilità di avere riscontri importanti. Certo, la guerra Russia-Ucraina e gli scenari attuali non ci stanno aiutando sull’Est Europa, zona in cui avevamo appena iniziato a lavorare. La stringente attualità è sicuramente stata un freno per noi, ma vogliamo andare avanti. E poi, lavoreremo sull’uscita di qualche prodotto nuovo, sull’implementazione della parte di terzi con ricerca e sviluppo, sul miglioramento globale dell’azienda a partire dalla sostenibilità, garantendo una struttura di maggior efficienza, anche grazie all'apporto che darà la nuova sede di Chieri.
Il momento più felice per l'azienda e quello più difficile?
Per ciò che mi è stato raccontato, quello più difficile è stato sicuramente quello delle due Guerre Mondiali e poi il tracollo dell'azienda negli anni Ottanta, con un calo vertiginoso delle vendite e del brand, per questioni interne di famiglia. Sono invece molto felice di questi ultimi anni, in cui, con una filosofia di produzione naturale, di valori legati alla tradizioni, di ritorno a metodologie arcaiche, ci siamo ritagliati un importante spazio di mercato, con qualità riconosciuta e riconoscibile. Questo si è tradotto anche a livello economico, passando da un fatturato di 700mila euro a 9 milioni circa.
Pensate che il territorio astigiano si voglia sufficientemente bene, sia sufficientemente valorizzato?
Tre anni fa ho comprato una tenuta a Castelnuovo Don Bosco, che ora stiamo preparando da adibire a location per eventi e ricettività. Mi sono messo a coltivare erbe aromatiche in prima persona, che uso per la produzione in distilleria. Lavoreremo sulla valorizzazione di questo territorio bellissimo, per cui non si fa mai abbastanza.
Se doveste paragonare il territorio astigiano a un vostro prodotto, a quale lo abbinereste e per quale motivo?
Il Gin Tenuta Sussambrino è fatto con erbe provenienti da quella tenuta, coltivate da me in prima persona nel weekend. È proprio il caso di dirlo: dal campo alla bottiglia. Per cui, penso che questo prodotto abbia un fortissimo legame con il nostro territorio, che è incantevole, che ha tanto bosco, tanta natura. C'è una vera e propria tangibilità di territori incontaminati che stupisce e conquista al primo sguardo. Accogliamo visitatori e appassionati dal Giappone, dalla Nuova Zelanda, dagli USA, che non perdono occasione per farci i complimenti, anche per il territorio e per i suoi luoghi spesso poco conosciuti. Noi astigiani, forse, siamo un po' agresti e genuini, amiamo la vigna, il bosco, i piccoli borghi, i castelli. Ci sono tante cose che andrebbero valorizzate e quando avremo la struttura pronta lavoreremo molto anche su questo.
Cinque medaglie all'IWSC 2024
L'Antica Distilleria Quaglia si è confermata ambasciatrice dell'eccellenza Made in Italy all'IWSC 2024 (International Wine & Spirit Competition), il concorso internazionale che, dal 1969, valuta i migliori vini e spirits provenienti da tutto il mondo. Cinque le medaglie portate a casa dall'azienda astigiana: due Bronze Award (uno per il Liquore al tamarindo e l'altro per il Papavero Servaj Gin Tenuta Sussambrino); due Silver Award (al Liquore al sambuco e al Liquore al caffè espresso Ninebar). Il Gold Award è andato all'Iris Seravj Dry Gin Tenuta Sussambrino.
Come si può inquadrare il gin italiano all'interno del mercato di oggi?
Il gin italiano è un prodotto neonato, ma legato a un territorio che può regalare tanto. I nostri possono diventare iconici per la nostra terra, piacciono molto e hanno un packaging importante, ben studiato. C’è un legame molto stretto con il territorio e il Monferrato e i nostri gin ne sono una testimonianza.
La territorialità si esprime anche attraverso i Vermouth?
Sì, anche perché ci piace usare vini astigiani per la produzione di Vermouth, per cui anche in questo caso si può parlare di un legame molto forte con il territorio. Abbiamo clienti che arrivano da tutto il mondo per venire a trovarci.
Un consiglio ai giovani che cercano la loro strada? Non per forza quella giusta, ma la loro...
Seguire le proprie passioni, farlo e non subìre un lavoro, ma viverlo pienamente. Dedicarsi a un mestiere in cui ci si può entusiasmare, che possa diventare piacere quotidiano. È un percorso difficile, ma sicuramente importante: alzarsi la mattina col sorriso e non gridando "aiuto, oggi è di nuovo lunedì". Deve essere un buon tempo quello lavorativo, leggero e stimolante. Così, tutto diventa più semplice.