Viviamo in un posto bellissimo - 21 settembre 2024, 07:30

Viviamo in un posto bellissimo che tra poco vi aspetta in chiesa

Puntata sull’imperdibile presentazione del nuovo Astigiani che ci aspetta nella sorpresa della chiesa della Consolata di via Hope, gioiello barocco poco noto

Il suggestivo interno della chiesa della Consolata

Il suggestivo interno della chiesa della Consolata

 

Tra poche ore, alle 18. inizia la presentazione del nuovo numero di Astigiani, trimestrale di storia e storie. Imperdibile rito terapeutico nell’invito a guardare indietro per andare meglio avanti. Evento sempre affollatissimo anche grazie alle particolari scelte di location, nella bella evidenza che ogni presentazione abbia dietro pensieri e atti con il non recondito scopo di stupire. Negli anni ne abbiamo viste di tutti i colori e ogni volta la difficoltà aumenta. Beh, oggi la scelta, e la capacità di renderla fatto non è certo usuale: la chiesa della Consolata di via Hope, ottimo esempio di ricchezza del patrimonio monumentale di Asti, raramente visitabile, aperta per Astigiani. Scrigno assai poco conosciuto di arte e storia, gioiello seicentesco e grande pezzo di memoria che ne ha viste tante e ha resistito. Luogo che ben si sposa con il tema portante del numero in presentazione: abbattimenti e demolizioni che annullano la storia dei luoghi.

Nel vantaggio di occuparmi della comunicazione social dell’associazione, ho già scorso più volte il nuovo numero della rivista, numero interessantissimo, con la gratificante presenza tra le nuove firme della mia, a contestualizzare gli scritti di un barbiere nella Asti dei primi Ottocento. Tra le altre storie, ovviamente, quella della chiesa sede di presentazione, raccontata magistralmente da Pippo Sacco. 

Chiesa, un po’ discosta dalla strada, solitamente chiusa e non visitabile. Anche per questo molti astigiani non conoscono i tesori artistici che custodisce. La sua storia è strettamente collegata a quella dell’attiguo Convento dei monaci Cistercensi, trasformato poi in Orfanotrofio. La fondazione del convento è databile intorno al 1620, ampliato poco dopo con l’acquisto di palazzo Scagliola e di palazzo Pergamo. Tra il 1655 e il 1659 viene edificata la chiesa della Consolata o di San Teobaldo, su progetto dell’ingegner Carlo Amedeo di Castellamonte per esaudire la volontà votiva del marchese Francesco Ghiron Villa per la guarigione del cugino Galeazzo Villa, ferito in battaglia a Cerro Tanaro nel 1653. A conferma, sulla controfacciata, i resti degli affreschi venuti alla luce durante gli ultimi recenti interventi di restauro e dove compaiono due lapidi affrescate, in una delle quali si legge il nome di Camilla Villa Bevilacqua, consorte del marchese Francesco.

Qualche anno dopo l’edificazione, fu ampliata nel coro e nel presbiterio e dotata di preziosi ornamenti. Ampliata e riccamente decorata come la vedrete tra poco nella sua unica navata con volta a botte, affiancata da due cappelle, dedicate a san Bernardo ed al SS. Sudario. Il bellissimo altare maggiore marmoreo reca l’immagine dipinta di san Teobaldo, opera seicentesca di Giovanni Battista Laveglia. Arredi per lo più settecenteschi, come la decorazione ad affresco delle cappelle, delle pareti della navata e del coro, dove sono raffigurate otto scene tratte dalla Vita di Maria. Grazie alla soppressione napoleonica degli ordini religiosi, arriva nella chiesa l’eleganza degli stalli del coro eseguiti su disegno di Benedetto Alfieri per la chiesa di Sant’Anna, oggi sede dell’Archivio di Stato. 

Insomma, uno spettacolo. Per questo suggerisco di venire un po’ prima delle 18, tanto da avere ancora buona luce per ammirare la facciata, neoclassica e decorata da due nicchie in cui sono collocati putti provenienti dall’antica Certosa di Valmanera, e poi dedicarsi senza fretta agli interni. Interni dove non perdersi la lapide sepolcrale in marmo bianco ai piedi della cappella del SS. Sudario, lapide sulla tomba del vescovo Innocenzo Milliavacca, non perdersi la meraviglia d’insieme, non perdersi Sergio Miravalle a duettare con i tanti ospiti, scorrendo assieme ai noi le pagine della rivista, fresca di stampa.

Davide Palazzetti

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