Dire "è successo questo a causa di quello", è come mettere il riso con gli altri ingredienti nel forno a microonde, schiacciare il pulsante, quando il campanello suona aprire lo sportello, e tirar fuori la zuppa bell'e pronta. E la spiegazione dov'è?
Murakami, L'uccello che girava le viti del mondo
In effetti il forno a microonde è una black box, una scatola nera che impedisce la visione di cosa stia accadendo al suo interno. Possiamo conoscere le condizioni iniziali, di partenza: gli ingredienti che decidiamo di cucinare; e l'esito finale: la pietanza alla fine del processo irreversibile di cottura. Quello che fa sì che si possa passare da uno stato all'altro, invece, resta misterioso. Comprensibili, nella loro astrusità, le parole di Kasahara May, una giovane ragazza che scrive queste parole in una lettera inviata al protagonista del romanzo L'uccello che girava le viti del mondo. Se ci pensiamo, quel nesso di causa-effetto (A causa B) qui salta; che cosa ha fatto sì che B (la nostra pietanza) sia stata causata proprio da quegli ingredienti di partenza, ovverosia da A? Ciò che ha reso possibile che A divenisse B è celato proprio in quella black box, in quel rumore un po' metallico, un po' elettrico di un qualsiasi forno a microonde. E - ci posso scommettere - non troppo differente dal verso dell'uccello-giraviti.
La storia della filosofia ci ha insegnato a dubitare della cogenza del nesso causa-effetto: basti rimandare la memoria alle argomentazioni di Hume e alla sua critica sferzante al concetto di causalità: sintetizzando moltissimo, non vi è reale nesso causale in natura; il fatto che ad A sia sempre seguita la conseguenza B non significa che la prima abbia causato la seconda. C'è contiguità spaziale, continuità temporale e l'abitudine che ne deriva rende possibile una certa prevedibilità, talmente efficace da considerare naturale che B segua sempre A, e che sia causato da quest'ultimo. Non mi soffermo oltre sulle disquisizioni riguardanti la causazione; faccio solo notare che una versione più moderna e aggiornata della discussione humiana è stata formulata in chiave statistica, e può essere così enunciata: la correlazione non è causazione.
Ma qui è richiesto un ulteriore sforzo. Aggiunge, infatti, la ragazza: "[s]arei più tranquilla se qualche volta, quando suona il campanello, aprendo trovassi un gratin di maccheroni. Naturalmente ne sarei stupita, però mi sentirei anche sollevata". E chi non si stupirebbe se, messi insieme gli ingredienti per un riso in zuppa, si ritrovasse alla fine con un ottimo, - senza dubbio - gratin di maccheroni? Ovviamente, è impossibile. Al riso seguirà sempre e comunque una zuppa di riso. E così per la stragrande maggioranza degli avvenimenti che capitano. Ma. A quanti di noi è capitato di preparare tutti gli ingredienti necessari per la buona riuscita di qualcosa - un esame, un concorso, un lavoro per esempio - e di essersi ritrovati con un pasticcio di melanzane o un gratin di maccheroni? In questo senso la domanda, per quanto non possa sembrare, è fortemente filosofica. E non tanto perché si sta esplicitamente facendo riferimento ad un senso recondito, per altro nemmeno troppo sotterraneo, ma perché si cerca di fornire una risposta alla realtà, alla nostra realtà. Se il reale è generatore di gratin vuol dire che va indagato in questa attività produttiva, attività che si trova sempre un po' ai margini di quello che noi ne possiamo sapere, perché può sempre "sorprenderci" con il pasticcio di melanzane. Si apre il campo dell'indagine filosofica: rendere ragione del fatto che non sia possibile rendere ragione, senza riflessione, del reale.