Storie di Orgoglio Astigiano - 23 marzo 2024, 12:35

Storie di Orgoglio Astigiano, Ottavia Delmonte, pediatra immunologa a Washington: "Con Asti una connessione viva, sogno di tornarci a vivere con mio marito e le mie tre figlie"

45 anni, è Professore associato al National Institutes of Health di Bethesda. Ha da poco pubblicato un nuovo paper sulla prestigiosa rivista "Science"

Ottavia

Ottavia

Per accompagnarti nella lettura di questa intervista ti consiglio la canzone Fire on fire, di Sam Smith, contenuta nella playlist "Orgoglio Astigiano" su Spotify

Volevo intervistare Ottavia Delmonte, pediatra immunologa, 45 anni, da tanto tempo. Avevamo anche organizzato un'intervista ad Asti, senza però riuscire a beccarci. Così, a distanza di qualche mese, siamo riuscite a sentirci telefonicamente. Lei da Washington D.C., io da Asti. 

Ottavia, qual è stato il percorso che ti ha portato fin qui? 

Sono astigiana da tutte le generazioni che conosco e i miei studi sono iniziati ad Asti. Ho frequentato il liceo scientifico Vercelli, poi ho studiato Medicina e Chirurgia a Torino, laureandomi nel 2003 con 110 e lode. Mi sono quindi specializzata in Pediatria a Torino nel 2008, per poi conseguire il Dottorato di ricerca all'Università di Harvard di Boston nel 2012 e, nel 2015, mi sono ulteriormente specializzata in Pediatria. Nel 2017, sempre all'Università di Harvard di Boston, mi sono specializzata in Immunologia. Dal 2017 al 2023 sono stata Ricercatore al National Institutes of Health, Bethesda, Maryland. Attualmente sono Professore associato al National Institutes of Health. 

A quante pubblicazioni scientifiche hai lavorato ad oggi? 

Sono autrice di oltre 90 publicazioni scientifiche sulle riviste più prestigiose in questo campo, quali "Science", "Cell", "Nature Medicine", "Blood".

Quando hai deciso di trasferirti negli USA?

Definitivamente nel 2009, avevo deciso di andarci, in realtà temporaneamente, per perfezionare i miei studi e le mie competenze. Nel 2017 mi sono trasferita vicino a Washington, per lavorare come medico e ricercatore al National Institutes of Health, che ha un ospedale annesso, nel mio caso occupandomi di patologie rare del sistema immunitario. Ad oggi sono Professore associato all'interno di questa realtà, mi occupo sia di pazienti pediatrici che di adulti che hanno malattie rare. 

La tua ultima pubblicazione scientifica cosa riguarda? 

È un lavoro recentemente pubblicato su "Science", che riguarda la "pre-TCRa deficiency", di cui sono secondo autore. Riguarda la descrizione di una nuova patologia scoperta, sempre del sistema immunitario. Patologia per cui nei casi più gravi i bambini hanno bisogno di immediato trapianto di midollo, ma attraverso i recenti studi si è scoperto che alcune varianti genetiche sono meno severe, traducendosi in un aumentato rischio di sviluppare patologie autoimmuni. È un paper importante che, al di là della nuova patologia descritta per la prima volta, offre un nuovo nesso di causalità con nuove patologie autoimmuni, ormai molto frequenti. Su "Science" era uscita anche un'altra importante pubblicazione, in merito al Coronavirus. 

Il momento più bello della tua carriera? 

Penso quando abbiamo pubblicato questo ultimo paper e poi quando ho descritto come primo nome un'altra patologia genetica, nel corso di un paper uscito nel 2021, su un altro gene.

Hai mai avuto difficoltà nel tuo lavoro? Anche magari legate al fatto di essere donna? 

No, devo dire che ci sono stati momenti difficili, ma mai legati al fatto che fossi donna. Anzi, qui in America c'è molta attenzione e rispetto circa queste tematiche, soprattutto negli ultimi due anni. Uno dei momenti più complessi è stato l'inizio di questo percorso, qui negli USA. Avevo già fatto Pediatria in Italia, ma per l'adeguamento del percorso di studi ho dovuto rifrequentare due anni all'università di Harvard. Nuovi anni di studio, di tirocinio, di training, non è stato semplice. 

Ricominciare dalla propria esperienza 

Quando Ottavia mi descrive questo periodo della sua vita penso a quanto possa essere stato difficile ricominciare, soprattutto in un territorio diverso come quello americano. Nel lavoro come nella vita, ricominciare richiede un'enorme forza, di cui spesso pensiamo di non essere dotati. La storia di Ottavia ci ricorda che non ricominciamo mai da zero, per quanto la nostra parte razionale ci voglia convincere del contrario, ma sempre e comunque dalla nostra esperienza. Che non è mai zero, ma qualcosa. Qualcosa su cui lavorare, qualcosa da coltivare, un seme da innaffiare ogni giorno, con un'unica arma: la pazienza. Pazienza di aspettarne i primi butti, i colori iniziali di una nuova vita che prende forma e che avrà, per davvero, la nostra firma sopra. 

È tanto diverso lo stile di vita americano da quello italiano?

In realtà dove vivo io no, la vita che conduco qui da medico, madre e moglie è la stessa che farei ad Asti. Abitando nella periferia di Washington e non a New York, per intenderci, sono immersa in quartieri molto vivibili, a misura d'uomo. Qui ci sono spazi più ampi e l'inquinamento è minore, ma diciamo così, il tessuto sociale in cui sono immersa è lo stesso in cui vivrei ad Asti. 

E che rapporto hai con l'Astigiano?

Sono molto legata all'Astigiano, tutta la mia famiglia ci abita e quando posso ci torno volentieri con mio marito, William Sheehan, e le mie tre figlie (Isabella 13, Clara 12, Caterina 9). Le ragazze adorano passare le estati tra Asti e il mare. Nonostante la distanza, con Asti c'è una connessione ancora viva, sono molto affezionata. Sono cresciuta ad Asti, sulle nostre colline, nelle campagne. Anche quando lavoravo a Torino sono sempre rimasta a vivere ad Asti, fino ai 30 anni, di fatto. 

Cosa ti piace e ti lega maggiormente ad Asti?

Al di là delle mie passioni per il balletto, l'arte pittorica, sciare, adoro fare passeggiate sulle colline del Monferrato, per visitare chiesette romaniche. E poi amo il salame crudo e la carne cruda. Adoro Cesare Pavese e Paolo Conte. Le mie radici sono molto forti e la cosa ancor più bella è che mio marito, americano di Boston da generazioni, ama moltissimo Asti, più di tante località di villeggiatura. Adora correre tra le colline dei nostri territori e ammirare il panorama da Viatosto. Con mio marito non escludiamo la possibilità che, una volta in pensione, si possa tornare a vivere, insieme, ad Asti. 

Cosa ne pensi della valorizzazione del territorio? Credi che sia sufficiente? 

Penso che siano stati fatti molti passi in avanti in questi termini, già solo rispetto a dieci anni fa. Credo si possa migliorare, però, anche e soprattutto in ottica di visibilità. Ad esempio, tutti conoscono il Palio di Siena, ma molte meno persone quello di Asti. Sono stata molto felice nel leggere la notizia dell'apertura del ristorante dello chef Cannavacciuolo nell'Astigiano, spero che vengano tanti turisti, non solo per una cena, ma anche per visitare le nostre belle colline, le chiese romaniche, il Battistero di San Pietro. Io stessa ho invitato alcuni amici americani a visitare Asti e...se ne sono innamorati!

Sarebbe stato possibile il tuo percorso professionale in Italia? 

No, in primis perché i posti accademici in Italia sono a numero chiuso e non se ne generano nuovi. E poi perché il carico dei pazienti in certe realtà in sotto organico riduce le possibilità di avere tempo e fondi per la ricerca. Io non ho mai provato a fare la ricercatrice in Italia, per cui mi è difficile fare un'analisi oggettiva, ma comunque penso che questo sia il quadro. L'università è molto valida in Italia, ma la formazione pratica ai miei tempi era più efficace negli USA. 

C'è qualcosa a cui stai lavorando ora nello specifico?

Sono sempre tantissimi i progetti, per me relativi a nuove patologie del sistema immunitario non ancora descritte, che tramite la cura dei pazienti e la parte di ricerca in laboratorio siamo in grado di caratterizzare. Da noi arrivano pazienti da tutto il mondo, che non hanno mai ricevuto diagnosi e a cui con il tempo siamo in grado di stabilirne il difetto genetico e in base a quello proporre un'eventuale terapia. Questo è un lavoro continuo. Pensa che una mia paziente a 72 anni ha ricevuto la sua prima diagnosi, è stata la più anziana. È stato un grande motivo di orgoglio. Servono soddisfazione e umiltà, in alcuni casi non siamo stati in grado di capire cosa avessero alcuni pazienti. E, una cosa che ho piacere di sottolineare e a cui spesso non si pensa, da noi tutte le cure sono totalmente gratuite, non si paga neanche il ticket. Il National Institutes of Health è sovvenzionato dal Governo americano, pertanto sono gratuite tutte le cure per tutti i pazienti del mondo. Vengono garantiti anche vitto e alloggio per gli accompagnatori.

Un consiglio ai ragazzi che cercano la propria strada nella vita? 

Inizio con il dire che andare per un certo periodo all'estero non significa rimanerci per sempre. Consiglio di fare anche solo un'esperienza di qualche mese. Ha un valore immenso, ti amplia gli orizzonti non solo dal punto di vista professionale. Conoscere nuove storie, stili di vita, persone, è un'esperienza arricchente. Io non sono partita per restare, ero molto affezionata alla mia terra, ho poi conosciuto mio marito e sono rimasta. Posso dire di aver provato la felicità di vedere professori di fama internazionale interessati al mio apprendimento. Ho conosciuto colleghi da tutto il mondo che avevano interesse in comune con il mio e sono stati dibattiti molto stimolanti. 

Il videosaluto ai lettori di Orgoglio Astigiano

Elisabetta Testa


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Orgoglio Astigiano è un progetto che vuole portare alla luce storie di vita e di talenti del territorio, che trova il suo spazio nella rubrica settimanale “Storie di Orgoglio Astigiano”, a cura della giornalista Elisabetta Testa.

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