La filosofia e le sue voci - 16 marzo 2024, 09:00

Fili districati, fili intrecciati

Nuovo appuntamento con le riflessioni di Simone Vaccaro, per la rubrica "La filosofia e le sue voci"

Immagine elaborata da Arena Philosophika

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Ciò che ho inseguito fin qui è quella specie di coda buia che porto con me. L'ho vista per caso, l'ho seguita, mi ci sono attaccato, e alla fine l'ho lasciata cadere in un buio ancora più fondo. So che non la rivedrò mai più

Murakami, Tutti i figli di Dio danzano

Che la letteratura potesse spiegare meglio della filosofia i concetti che la filosofia stessa ha prodotti, non mi ha mai convinto più di tanto ad essere sincero. Mi è sempre sembrata una gran bella frase ad effetto, molto utile a rendere in fin dei conti più ammiccante la filosofia, ma che in realtà nascondesse una sostanziale insincerità. E difatti, il più delle volte, mi è parso essere proprio così. Avete in mente quando un'idea che - anche se impropriamente - assume un'atmosfera filosofica ben definita viene gettata direttamente tra le pagine di un libro? Ecco è proprio in quel frangente che si sperimenta l'affabulazione del discorso che trasferisce chiare matrici filosofiche alla narrazione, rendendola così irrimediabilmente compromessa. Ma questa situazione di fatto è anche una situazione di diritto? Direi sì e no. 

A leggere Murakami ci si trova al cospetto dell'Evento. Concetto chiave della filosofia Novecentesca, l'Evento è ciò che eccede ogni sua possibile definizione. Non è mai quello che viene descritto a parole, tramite concetti e descrizioni; non è mai ciò che si lascia ossequiosamente osservare, descrivere e vivisezionare. Sinceramente non so se Murakami stesso abbia scritto la raccolta di racconti Tutti i figli di Dio danzano con il preciso intento di fornire una spiegazione aconcettuale dell'Evento. Sta di fatto che la fornisce. Non lo spiega, né lo esemplifica a partire da un esempio cui adeguarsi. Eppure lo porta in scena, lo rende presente. Lo tocchiamo perché ci tocca. Certo, sfondo dell'opera è il grande "trauma collettivo" - come riportato nella quarta di copertina - che è stato il terremoto di Kōbe del 1995: di per sé la più macroscopica esemplificazione di cosa un Evento sia. Lo scuotimento della terra, l'improvvisa mancanza della stabilità del suolo; e poi le grida, le esplosioni, i corpi, esanimi: un lampo inaspettato che disorienta e dissesta la nostra presunta presa sul mondo

Eppure Murakami non mostra solo questo. Con i suoi racconti finalmente radica nella letteratura l'Evento. Esiste una intrigante concezione estetica giapponese, espressa con il kanji 間 (si legge ma). Se volessimo tradurlo letteralmente, significherebbe "intervallo", "pausa", "spazio"; se, invece, lo leggiamo nella sua accezione estetico-filosofica, allora lo possiamo ricondurre all'Evento. Il ma è il momento di interruzione, di pausa; il lampo che squarcia l'oscurità della notte tempestosa; il raggio del primo mattino che risveglia chi dorme: apro le finestre, "m'illumino d'immenso". Ma sarebbe riduttivo ritenerlo il solo momento di sospensione. Esso è piuttosto l'elemento indiretto che disconnette e riconnette, che districa i fili e che li intreccia nuovamente. Non segue una costruzione precisa e oculata: non è la diretta influenza di un'idea filosofica che informa il racconto, quanto più il manifestarsi stesso della trama di fili che si trovano nel medesimo campo di battaglia. In questo senso la letteratura espone meglio della filosofia i concetti filosofici: ce li mette di fronte, facendoci scontrare contro

Simone Vaccaro

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