Al Direttore - 28 agosto 2023, 10:32

La scuola non può tacere sul “diritto” di odiare

Riceviamo e pubblichiamo le considerazioni di un docente liceale sul controverso libro del generale Vannacci

La scuola non può tacere sul “diritto” di odiare

Ubi maior (le posizioni di Sergio Mattarella, Natalia Aspesi, Corrado Augias, Franco Cardini, Gustavo Zagrebelsky e potrei continuare), minor cessat, ma come insegnante ho ritenuto di non poter stare in silenzio.

Ho letto anch’io (in una versione in pdf postatami su whatsapp) Il mondo al oirartnoc del generale Roberto Vannacci e confesso che se un testo scolastico contenesse i capitoli dedicati alle questioni di genere o alla composizione etnica del nostro Paese, per fare solo qualche esempio, penserei, come nel celebre romanzo di Calvino Se una notte d’inverno un viaggiatore, di trovarmi davanti a un macroscopico e sconcertante refuso.

Premetto che in democrazia è sacrosanto il diritto di esprimere le proprie opinioni, sia ben chiaro, poiché neppure io condivido la cancel culture che, nel tentativo di mettere ordine, intacca il pensiero critico.

Un conto, tuttavia, è farlo, come avviene in questo stesso libro, su una materia quale il clima o l’energia, per cui anche le opinioni più personali e fuori dal coro non ledono la dignità di alcuno (anche se, personalmente e da docente, ho trovato davvero di cattivo gusto e infondati l’ironia e il sarcasmo per le battaglie della “Generazione Z” a favore dell’ambiente e dell’ecologia, tutt’altro che immotivate e che, tra l’altro, sono incentivate a scuola, per fare solo un esempio, dall’Agenda 2030), un conto, invece, è farlo quando è in gioco l’essere umano e se si riveste un ruolo istituzionale nello Stato.

E’ ammissibile che chi orgogliosamente dichiara di essere un servitore della Patria (che non è un’entità metafisica ontologicamente indipendente, ma è composta da persone), parlando dei movimenti femministi strizzi ancora l’occhio al più becero machismo di “casa nostra” cogliendo in essi una delle cause della decadenza della famiglia (da lui ritenuta) tradizionale?

E che dire del fatto che nel libro si consideri un’eccentrica minoranza di anormali chi fa parte della comunità LGBTQ+, la cui normalità, nelle argomentazioni di Vannacci, sarebbe posta sullo stesso piano di quella che si volesse accordare al cannibalismo praticato per la sopravvivenza? Tranquillizzo, per inciso, il generale: nella sigla LGBTQ+ un solo + basta (non ne occorrono sarcasticamente tre), purché accompagnato da rispetto, anche lessicale, perché avrei sperato di non dover spiegare al Nostro, dove invoca il purismo linguistico, il motivo per cui termini come “frocio” e “culattone” siano sostituiti dalla forma anglosassone gay.

E le considerazioni sui tratti somatici della pallavolista Paola Egonu? Ma qui rimando all’intervento illuminante, come sempre, di Corrado Augias su “la Repubblica” del 24 agosto.

Potrei andare avanti nell’elenco, ma si tratterebbe di esempi facilmente reperibili sui media e i social e, comunque, dello stesso segno.

Mi preme di più fare alcune considerazioni partendo dalla mia esperienza di insegnante.

La Patria tanto invocata nel libro riproduce in grande il microcosmo di una classe, la cui ricchezza sono la varietà e la diversità (etnica, culturale, di genere, familiare etc) che implicano dialogo, confronto e pari opportunità, con un unico limite su cui essere tutti d’accordo: il rispetto reciproco e della legalità.

A scuola non si possono fare gerarchie nella priorità dei diritti sulla base delle percentuali di rappresentatività (se in una classe si ha l’1% di allievi con disturbi di apprendimento, ad esempio, non si può dire “che si arrangino, sono in pochi!”), perché contravverremmo al suo ruolo inclusivo.

Inoltre, è tra i banchi che inizia l’educazione all’abbattimento degli stereotipi e dei pregiudizi, quindi, che con leggerezza un uomo dello Stato pensi di mettere in discussione questo lavoro è inammissibile!

In merito, rassicuro il generale: l’educazione affettiva e sessuale, che dovrebbe, a mio avviso, essere materia curricolare a scuola, aiuta a comprendere ciò che si è già, non a diventare ciò che non si è (l’omosessualità, come l’eterosessualità, non è una scelta e non è contagiosa), e permette di “viversi” a pieno nella normalità del quotidiano: darsi la mano per strada, abbracciarsi, baciarsi, presentare il compagno o la compagna al gruppo sociale di cui si fa parte, dar vita a una famiglia fondata sull’amore (condizione necessaria, per il generale, ma non sufficiente, perché non finalizzata alla procreazione… quindi un contratto biologico prima dei sentimenti?) non sono “ostentazioni”, ma gesti naturali, che non possiamo più tollerare possano essere accompagnati da apostrofi ingiuriose (“ricchione”), di cui magari sorridere o vantarsi, o, ancor peggio, da violenza fisica.

Ripensi per un attimo Vannacci alla propria adolescenza e provi a escludere la possibilità di esternare ad amici, familiari, parenti la propria dimensione sessuale e affettiva (le prime cotte, con le delusioni che ne seguono) o a percepire il proprio corpo come una prigione perché il suo sesso biologico non corrisponde (non “si sceglie che non corrisponda”!) al genere. Forse, come tristemente troppo spesso accade nelle aule, si ritroverebbe a meditare gesti estremi.

E anche in questo caso la scuola non può stare a guardare e deve occuparsene, con strumenti e un linguaggio seri, non con battute grasse e svilenti: se ciò avvenisse davvero, per disposizioni ministeriali, garantisco che i cattolici rimarrebbero cattolici, gli islamici islamici, gli eterosessuali eterosessuali, ma molti omosessuali, finalmente, a differenza di quanto troppo spesso ancora oggi succede, non sarebbero costretti a dare vita a famiglie “tradizionali” di facciata (lui/ lei intendo), magari benedette con un matrimonio sull’altare, perché la società, educata, li metterebbe davvero nella condizione di essere sé stessi (e la loro percentuale, generale, da Lei ritenuta insignificante, aumenterebbe, non per plagio, ma in nome della libertà di autodeterminarsi per ciò che si è). E credo che anche la lotta al femminicidio ne trarrebbe un grande giovamento.

Quando poi nel libro Vannacci difende l’ “italianità”, chiedo cosa sarebbero l’arte, la lingua e la gastronomia nostrane se nei millenni non fossero esistite le migrazioni. Roma non sarebbe stata neppure un villaggio di pastori (se si vuole credere alla teoria indoeuropea i Latini proverrebbero dalle steppe centrali della Russia, ma pensiamo quale miscuglio etnico ha comportato poi l’impero!). E circa la famiglia “tradizionale”? In Grecia essa era certamente la cellula fondamentale della polis, ma accanto alla moglie legittima, che nella maggior parte dei casi era legata al marito solo da un contratto volto alla procreazione, figurava anche la concubina. Anche quella era tradizione; e allora, forse, a questo punto, non conviene accettare che i costumi cambiano e che la sola costante debbano essere principi di giustizia, uguaglianza e pari diritti?

Un plauso, quindi, e la mia stima al Ministro Crosetto per la posizione assunta: una vera lezione di educazione civica impartita da un rappresentante dello Stato, che dovrebbe ispirare politiche di reale applicazione della Costituzione, non solo in termini teorici, a tutti i livelli, dagli adolescenti agli adulti, dalla società civile a quella militare e al mondo dello sport da cui, opinione personale, mi attenderei prese di posizione più forti ed efficaci.

In questo modo, forse, diventerebbe naturale definire la “normalità” (penso alle mie classi che sono uno specchio del nostro Paese) per ciò che essa è realmente: varietà e diversità, non omologazione.

Quali sentimenti susciterei nei miei allievi, ognuno con le proprie storie, se proponessi molte delle idee contenute ne Il mondo al oirartnoc? Penso che ognuno avrebbe un motivo per sentirsi ferito nella sua dignità, come è accaduto a una percentuale altissima di altre persone, compresi gli appartenenti alle forze armate, costretti, da opinioni “personali” sugli omosessuali come quelle del generale, a vivere nell’ipocrisia, nonostante formalmente si proclami l’uguaglianza, perché essa può essere davvero interiorizzata solo attraverso la formazione, le cui basi si gettano a scuola.

A poche settimane dal suo inizio, spero che siano questi i principi a guidare, ancora una volta, me e i miei colleghi e non lezioni di odio. Grazie, presidente Mattarella, per avercelo ricordato con le Sue parole tutt’altro che ovvie.


Carlo Bavastro (docente di scuola secondaria di secondo grado) *

* Le opinioni riportate sono espresse a titolo personale e non rappresentano in alcun modo il punto di vista dell'Istituto

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