Copertina - 26 aprile 2025, 00:00

Storie di Orgoglio Astigiano. Andrea Cerrato: "Ero un bambino insicuro che aveva bisogno di un palco per essere visto. La famiglia? Il mio guardrail"

Cantautore e content creator, ha una community di oltre un milione di persone. "Asti? Un crocevia che ti obbliga ad ampliare i tuoi orizzonti, ma quando torni ti coccola"

Andrea Cerrato

Per accompagnarti nella lettura di questa intervista ti consiglio la canzone Ascensori con coro Full of Life, contenuta nella playlist "Orgoglio Astigiano" su Spotify

Cantautore, sì. Cantatuber, anche. 

Andrea Cerrato è un artista che negli ultimi anni ha creato una community di oltre un milione di persone tra i vari social. Sulla piazza online condivide ciò che più gli piace fare: scrivere canzoni e produrre contenuti.

Penso che sia fondamentale, oggi più che mai, avere qualcosa da dire. A maggior ragione se sei seguito; se le tue parole hanno un seguito. Andrea, oltre a essere un cantautore così delicato e garbato nei testi e nelle melodie, lo è anche oltre la chitarra. La nostra chiacchierata al telefono mi resta impressa. Parto dall'inizio. Parto dalla nostra Asti. 

Andrea, che rapporto hai con il territorio astigiano?

Ecco, qui ci vorrebbe già un libro alla Tolkien (ride, ndr). Allora, ti direi controverso. Sono amante del territorio per geografia e paesaggi. Le colline astigiane sono il posto in cui mi sento più ispirato, in cui sono davvero a casa. Adoro viverci, è un giusto compromesso tra la tranquillità e la comodità. Potevo andare a vivere altrove, ma non l'ho mai fatto, perché qui ci voglio restare. L'Astigiano è, però, un territorio in cui le opportunità te le devi cercare. Senza stare a guardare l'estero, Asti ha la sindrome del paesone: poca gente, gli stessi contatti che girano e rigirano. Ho un po' patito questo aspetto. Vivo qui, ma ho l'occhio fuori. In passato mi hanno ferito le dinamiche da paese. Ferito, sì, ma anche formato. Essendo un contesto piccolo serve faticare ancora di più per trovare una propria unicità ed esportarla. Ho iniziato vent'anni fa e i contesti musicali sono cambiati. Asti ti costringe a uscire per trovare le opportunità che vuoi, ma poi, quando torni, ti coccola. 

Come arriva la musica?

Inizio col dire che non arrivo da una famiglia di musicisti. I miei genitori ascoltano musica, ma normalmente, come pressoché chiunque. Era l'estate del 1999, guardavo MTV e stava passando il video musicale della canzone “Unforgivable Sinner”, di Lele Marlin. Nel video c'è una ragazza che suona la chitarra. Ricordo l'illuminazione di quel momento. Come se mi avesse trasmesso l'idea del "Provaci, fallo anche tu". Allora ho recuperato una chitarra acustica di non so chi, che era in casa a prendere della polvere, e ho inizato a strimpellare. Non avevo mai pensato di fare musica. Eppure la musica è entrata nella mia vita a gamba tesa. 

Cosa è successo dopo l'illuminazione di Lele Marlin?

Dopo quel momento rivelatorio con i miei compagni di classe avevamo poi fondato una band. Le classiche formazioni nate sui banchi di scuola. Fino ad arrivare poi al 2015, l'anno d'esordio da solista. Ho iniziato tardi a fare musica sul serio, non avevo ancora le idee chiare. 

Il tuo sogno nel cassetto eri tu oggi?

Oggi ti posso dire di sì, ma ricordo dei flash all'epoca. Mi immaginavo sul palcoscenico, ma non avevo ancora la certezza di cosa volessi fare davvero da grande. Ballavo, ma recitavo anche. Insomma, erano quelle cose che mi trasmettevano sensazioni del tipo "sì, mi piacerebbe farlo", ma era tutto molto fumoso. Volevo unire il palcoscenico alla comunicazione. Poi è arrivata la musica e tutto è diventato più chiaro. C'era un'attitudine. Ero un bimbo piuttosto insicuro, che aveva bisogno di un palco per essere visto. Che voleva essere visto. 

L'incontro più bello della tua carriera, dagli inizi a oggi?

Ogni incontro è stato un momento fondamentale. Ti direi, però, quando abbiamo formato la band, nel 2003. Suonavo già da qualche anno, ma è stato il primo amore, un po' come la prima storia tra fidanzati. Il ricordo delle persone che hanno condiviso con me questo sogno per dieci anni non si cancella; ora sono l'unico che vive di questo mestiere e mi sento fortunato. Ecco, i ragazzi sono stati la mia prima famiglia artistica. Un altro momento fondamentale è stato durante gli anni della band, quando ho conosciuto Chiara, la mia ragazza, ai tempi violinista reclutata al Diavolo Rosso di Asti. È stata mia collega per anni e poi, nel 2019, è diventata la mia compagna. Musica e vita si sono sempre unite a dovere. E poi, ci sono stati manager o comunque figure per me importantissime, come Massimo Cotto, ad esempio. 

Cosa significa la musica per te? È un concetto che ha subìto variazioni nel corso degli anni?

La musica è uno strumento, che per me ha l'obiettivo di creare una connessione con altre anime. La musica è quel canale che mi permette di farlo in maniera sintetica. Da ragazzo, quando dovevo fare un tema, sceglievo sempre il saggio breve. La musica, così come il saggio breve, in poco riesce a darti tutto, è un ponte che mi permette di raccontare e ricevere un'emozione; è ciò che aiuta a creare un legame e in questo senso è cambiato nel tempo, sì. È anche un modo per conoscermi meglio. Facendo musica e scrivendo testi, entri in contatto con te stesso in un senso più profondo. La musica è magia, che mi permette di connettermi con me stesso, con gli altri e con il mondo. 

Abitarsi: riflettere sulla vita specchiandosi nelle parole che usi per descriverla

Sottoscrivo ogni parola di Andrea, con cui parlo come se lo conoscessi da una vita. Scrivere. Insomma, comunicare, è uno dei modi migliori per conoscersi meglio e per entrare in contatto con l'alterità e il mondo che ci circonda, in maniera sana e consapevole. Un po' come la pratica del journaling, che ti permette di riflettere sulla tua vita specchiandoti nelle parole che usi per descriverla. Scrivere è come abitarsi. Ne avremmo tutti tanto bisogno. Di abitarci di nuovo. 

Ok, "Unforgivable Sinner" è la canzone della rivelazione, ma ne hai una del cuore? 

In realtà ne ho tante, a seconda delle fasi di vita. Comunque ti direi "Grace", di Jeff Buckley. Ho scoperto questa canzone durante una gita, intorno al 2000. In autogrill mi sono comprato questo cd che si chiamava così. Ho il chiaro ricordo di me in bus che ascolto questo album, da cui vengo come rapito. Sai, quelle cose che non riesci a spiegare a livello razionale: non sapevo cosa stessi comprando, eppure mi ha travolto ed è tornato spesso nella mia vita. Jeff Buckley è un artista che ho studiato a fondo e quella canzone è il simbolo dei miei inizi. Della mia vocazione. 

E Asti si vuole sufficientemente bene secondo te?

No, ma lo dico con amore. Il territorio non può non volersi bene considerato la meraviglia che è. È fatto di persone splendide, ma si vuole bene solo per alcune cose, mentre su altre vive la sindrome dell'orfano, forse perché si trova in una terra di mezzo, come nel Signore degli Anelli. Quando devo parlare di Asti dico più o meno questo. Siamo abituati a ragionare all'interno di confini, manca apertura. Asti è un crocevia che ti obbliga ad ampliare i tuoi orizzonti. C'è un confine in cui ci si conosce, si ha resistenza ad andare fuori ma anche a fare entrare. C'è troppa chiusura. Non volersi bene e non voler bene, non voler guardare, farsi guerra nel piccolo, quando basterebbe aprirsi al mondo per scoprire di stare in un territorio molto più ampio. 

Un consiglio ai giovani di oggi?

Ampliare gli orizzonti. È importante avere un piede nel presente e nel luogo in cui si è. Nonostante tutto io sono qui, perché le radici sono le persone con cui cresci, che ti danno un baricentro, partendo da un centro solido per riuscire a guardare il mondo da una prospettiva più ampia possibile. Un altro consiglio è quello di studiare cosa si fa altrove, parlare, spostarsi, essere curiosi. Più è piccolo il campo, più c'è competitività, più è largo e più vedi l'alterità e gli spunti ovunque. Il mondo virtuale oggi ci dà la possibilità di spiare ogni angolo del mondo e questa cosa è una grande fortuna che trent'anni fa non c'era. E in termini pratici, ai ragazzi consiglio di suonare tanto, se vogliono fare questo mestiere. Oggi con una scheda audio e un pc puoi pensare di fare l'artista, sì, ma serve anche sporcarsi le mani, andare in giro, fare esperimenti, mettersi in gioco.

A cosa stai lavorando? Se si può dire...

Sono uno molto day by day. Non viaggio con così tanta prospettiva, anche se avendo un entourage intorno sarò obbligato. Lavoro al tour estivo 2025. Arrivo da un tour bellissimo, andato ben oltre le aspettative. Insomma, continuerò con i live, ma lavorerò anche in vista di un nuovo album, magari a fine anno ci saranno delle novità. Poi, vediamo cosa succederà! 

Mollo tutto e faccio il cantautore 

Hai mai pensato di mollare tutto?

Quante volte! In passato erano quasi quotidiani i momenti del 'mollo tutto'. Non è facile navigare nell'instabilità. Per anni ho fatto il grafico in un'agenzia di comunicazione e avevo una percezione di stabilità che con la musica è difficile avere. Ci sono stati momenti in cui mi sono chiesto cosa stessi facendo, anche solo perché stavo spendendo (per la musica) più di quanto guadagnassi effettivamente. Lavoravo da grafico e lo stipendio lo spendevo in musica. Mi sono licenziato dieci anni fa, era più o meno il 2014, ma ho cominciato a vivere di musica cinque anni fa. Per tanto tempo ho viaggiato sull'onda del cuore: ero sicuro di questa strada, ma fuori i risultati non c'erano. Ho iniziato a raccogliere il buono che avevo seminato solo dalla fine del 2023. È stato allora che ho visto il giardino fiorito. 

E la tua famiglia? Come ha reagito al tuo cambio rotta?

Mi sono sentito appoggiato in questa scelta. I miei genitori erano spaventati, ma mi davano fiducia. Senza aiuti concreti, non lavoravano al mio posto, ecco, però mi hanno lasciato libero di fare. Della serie "noi siamo qua a sostenerti", ma senza quella insana voglia di chi ti aiuta in tutto e per tutto e fa la strada per te. I miei mi hanno guardato da lontano, sono il mio guardrail. 

Come vedi, oggi, il concetto del "cantatuber"?

Il termine "cantatuber" è nato in realtà per gioco. È una definizione che tendo a non usare più, forse perché è un po' cringe (ride, ndr), ma volevo far capire la mia attitudine da comunicatore, che si declina sia nel cantautorato che nella parte di content creator. Sai cosa? In questa fase della mia vita capisco ancora di più che anche le cose che non dico fanno parte del racconto.

Guardiamo indietro per andare avanti. Cosa ti ha dato la partecipazione al talent "The Voice" nel 2016?

Mi ha insegnato tutto quello che volevo e non volevo nel mio percorso artistico e in questo è stato un punto di svolta. "The Voice" è arrivato tra la fine della band e l'inizio del mio periodo da solista. Ero disorientato. Arrivavo da una lunga gavetta. Continuavo a dire no ai talent, ma poi alla fine avevo deciso di accettare la chiamata. Mi ero buttato, dicendomi che per giudicare una cosa bisogna prima conoscerla. L'esperienza mi è piaciuta perché ho conosciuto il mondo televisivo che mi affascina, ma ho capito che quando si fanno queste cose l'occasione e la possibilità di bruciarsi sono vicine. Troppo vicine. Se non sei abbastanza strutturato ti vedi subito sparato nell'iperspazio e poi dimenticato. Da quel momento ho iniziato il mio percorso da content creator: volevo un pubblico creato gradualmente, volevo darmi il tempo di maturare il mio linguaggio e la mia arte. Non lo rinnego, lo rifarei a quell'età, ma non più adesso. "The Voice" è stata un'esperienza tosta, ma una bella presa di consapevolezza. 

La tua canzone punto di non ritorno?

"Gesso", dell'estate 2022. Stavano cambiando tante cose post Covid. Avevo sfruttato la pandemia per lavorare tanto sul mio linguaggio e sulla mia produzione, sul trovare quella canzone che mi facesse dire "sono soddifsatto di me stesso". "Gesso" è semplice, ma parla di morte, uno dei miei temi must, però è una canzone che ha messo a fuoco il pop che in quel momento mi rappresentava. Sono un amante delle melodie anglosassoni, molto difficili da riportare in Italia. Ecco, in quel pezzo c'è la sintesi di questa ricerca, da cui è partita poi una nuova fase artistica. Di quel pezzo non cambierei nulla, perché era perfetto in quel momento.

Chi è Andrea Cerrato 

Prima chitarra autodidatta, poi gli studi jazz e infine arrivano il canto e l’amore per la scrittura.

Dopo l’esperienza decennale in una band, con cui ha pubblicato due dischi e suonato in più di 300 date in tutta Italia (aprendo anche i concerti di Negrita, Tommy Emmanuel, Deep Purple, La Crus, Marlene Kuntz, Velvet, Tricarico, Pierpaolo Capovilla), Andrea Cerrato esordisce con il suo percorso solista.

Tra il 2015 e il 2022, utilizzando esclusivamente i propri canali social, ottiene centinaia di migliaia di visualizzazioni arrivando a oltre un milione di iscritti sui vari canali e milioni di streaming tra tutte le piattaforme, suonando parallelamente nei contesti più disparati: dal locale agli house concert, dai festival al busking.

Pubblica quattro dischi spaziando tra pop, folk e cantautorato, passando da melodie riconoscibili a testi personali e sfruttando la semplicità come chiave per la profondità.

Nel 2024 il suo primo tour ufficiale nei club ottiene sold-out in tutte le date e repliche, bissando locali come Santeria Toscana a Milano e il Largo Venue a Roma.

Nel 2025 torna con nuova musica e nuovi concerti che lo vedranno attraversare tutta l’Italia. 

Andrea Cerrato

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