"Sì, ci sarò. In un angolino, magari, ma ci sarò". Con queste parole semplici, il vescovo di Asti Marco Prastaro conferma alla Voce di Asti la sua presenza tra i concelebranti che sabato 26 aprile, alle 10, celebreranno in piazza San Pietro la messa esequiale per Papa Francesco. Sarà il primo giorno dei novendiali, come previsto dal rito funebre dei Pontefici. Una cerimonia solenne e mondiale, ma anche intima per chi, come monsignor Prastaro, il Papa lo ha incontrato davvero, e lo ha addirittura accolto in casa durante la storica visita astigiana del 2022.
Vescovo Marco, com'è il suo ricordo personale, umano e spirituale, del Pontefice che ha lasciato un segno indelebile nella Chiesa del XXI secolo?
Non è facile trovare le parole, perché si è sempre impreparati a questi momenti. È un fatto che colpisce, anche se lo si sa possibile. Personalmente conservo un ricordo molto intimo: Papa Francesco è stato ad Asti, è venuto a casa nostra, l’ho ospitato a casa mia. Ricordo quella sua presenza familiare, gentile, discreta. Con lui ci si sentiva a proprio agio, come tra amici di lunga data.
C’è un messaggio, un tratto del suo magistero che le rimane particolarmente nel cuore?
Direi la sua insistenza sullo stile evangelico nell’incontro con l’altro. Ci ha insegnato che il modo in cui trattiamo le persone è parte integrante del messaggio cristiano. Misericordia, accoglienza, il non giudicare. E non erano solo parole: era il suo modo di essere.
Francesco è stato definito il “Papa delle periferie”. Lei stesso ha svolto il suo ministero anche in contesti periferici. Si è sentito vicino a lui, anche umanamente?
Questa è un’intuizione bella, sa? Non ci avevo pensato così chiaramente, ma è vero. Sì, l’ho sentito vicino, in sintonia. Chi ha vissuto nelle periferie conosce quella modalità di relazione diretta, senza orpelli, senza formalismi. In quei contesti si arriva subito all’essenziale: accogliere, ascoltare, voler bene. E se puoi, dare una mano. È lì che nasce l’idea della Chiesa come “ospedale da campo”: si cura chi soffre, subito, con quello che si ha.
Non solo carità, ma anche denuncia delle ingiustizie. Spesso questo gli è stato rinfacciato…
Sì, è vero. Qualcuno lo ha definito un Papa politicizzato, ma io credo che lui abbia semplicemente fatto il suo dovere. Ha detto quello che un Papa deve dire. Se non lo dice lui, chi può farlo? Francesco ci ha ricordato che non basta aiutare i poveri, bisogna anche combattere le cause della povertà. Su questo è stato chiaro, forte, anche provocatorio. E forse proprio per questo ha fatto discutere.
Sabato 26 aprile, alle 10, ci saranno i funerali in piazza San Pietro.Ci sarà anche una presenza astigiana?
Sì, saremo a Roma proprio in quei giorni con 300 adolescenti della diocesi per il Giubileo dei Ragazzi. E sì, posso confermare che io stesso sarò presente al funerale e tra i concelebranti. Ci saranno anche altri astigiani presenti, in forma più libera: alcuni già a Roma, altri che si organizzeranno autonomamente. È difficile strutturare qualcosa di ufficiale, per motivi logistici: bisogna arrivare il giorno prima, stare ore e ore in fila… sono eventi molto complessi. Mi iscriverò a breve attraverso il portale predisposto dal Vaticano per i vescovi: anche se magari in un angolino, sarò lì, con il cuore colmo di gratitudine.
Un’ultima domanda, forse la più difficile. Dopo Francesco, cosa sarà della Chiesa?
Ogni Papa è un uomo, una persona con la sua storia. Ma ogni Papa lascia un’impronta che non si cancella. Francesco ha impresso uno stile, un modo di essere Chiesa, che resterà. La scelta stessa del nome diceva molto: un segno di rottura, ma anche di profezia. Il cammino sinodale, ad esempio, non si può semplicemente archiviare. In Italia hanno partecipato oltre mezzo milione di persone. È un processo ormai avviato: magari si aggiusta il tiro, si prosegue con nuovi passi, ma non si torna indietro. Lo stile di Francesco resterà nella carne della Chiesa.