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Un Occhio sul Mondo | 19 aprile 2025, 09:00

'Turchia e Israele duellano in Siria'

Il punto di vista di Marcello Bellacicco

'Turchia e Israele duellano in Siria'

Mentre tutti gli occhi sono rivolti verso gli sviluppi della guerra russo-ucraina ed i nuovi attacchi di Tel Aviv contro Gaza, un altro confronto si sta consumando in Medio Oriente e, nonostante versi nella pressochè totale indifferenza dei media occidentali, una sua degenerazione potrebbe determinare una crisi ben peggiore di quella israelo-iraniana.

I due contendenti sono Turchia ed Israele e l'oggetto della contesa è la Siria, da poco passata sotto il governo del Presidente ad interim Ahmed Sharaa, nuovo leader di Damasco dai trascorsi terroristici nell'ISIS, che preoccupano notevolmente gli Israeliani i quali, notoriamente, spesso ricercano la loro tranquillità con qualche sano bombardamento. 

E alle cure di questa tisana ebraica non è sfuggita neanche la Siria, che nei giorni scorsi è stata ripetutamente presa di mira dagli aerei con la Stella di David, suscitando le ire di Erdogan, che del nuovo potere siriano ne è stato diretto e coinvolto artefice e che ora ritiene di doverne incassare i dividendi, anche attraverso la sottoscrizione di un Patto di difesa congiunto con la nuova leadership di Damasco.

In tale contesto, i Turchi avevano speso le loro attenzioni su tre basi aeree in cui schierare le proprie forze, ma i cacciabombardieri di Tel Aviv le hanno tempestivamente distrutte, dichiarando che non ammettono ulteriori forze straniere in territorio siriano e tanto meno quelle turche. In effetti, tale approccio israeliano può essere giustificato dalla realistica consapevolezza che Ankara dispone del potenziale militare sufficiente per costituire una seria minaccia per Israele, ben superiore a quella iraniana.

Nell'ultimo periodo, la Turchia è molto attiva nel cercare di incrementare le proprie capacità operative, con l'acquisizione di 40 cacciabombardieri Eurofighter (in attesa dei velivoli di 5^ generazione di costruzione nazionale) armati di 300 missili Meteor a lungo raggio (140/250 km). Un potenziamento perseguito anche a spese dell'Italia, vista la recentissima acquisizione dell'azienda Piaggio Aerospace da parte della turca Baykar, specializzata nella produzione di droni di ultima generazione. Operazione che migliorerà la capacità produttiva di velivoli senza pilota dei Turchi, ma che sancisce un misero fallimento dell'Italia, inutilmente mascherato dalle autorità governative (sotto la regia del Ministro della Difesa Crosetto) come un successo, che ha preservato il livello occupazionale di Piaggio, ma non il suo patrimonio tecnologico.

Tuttavia, nonostante questi presupposti non del tutto confortanti, che sembra caratterizzino gli attuali rapporti tra Israele e Turchia, quanto sta accadendo deve essere contestualizzato nella storia delle relazioni tra le due Nazioni, da sempre segnata dall'alternanza tra conflittualità e vicinanza.

La Turchia fu il primo Paese a maggioranza musulmana a riconoscere lo Stato di Israele già nel 1949, anche se era contrario al Piano di Partizione della Palestina definito dall'ONU. Fu solo il primo atto di tanti alti e bassi, che portarono Ankara e Tel Aviv ad essere partner strategici con collaborazioni anche in ambito militare o strenui competitors al limite dello scontro diretto.

Ma è con l'avvento di Erdogan al governo della Turchia, con la sua politica estera spregiudicata ed ambiziosa, che i rapporti sono divenuti più tesi, soprattutto sulla problematica dei Palestinesi, che hanno sempre trovato in Ankara uno dei loro più autorevoli e decisi sostenitori del mondo arabo.

I recenti eventi nella Striscia di Gaza non potevano che inasprire delle relazioni già difficili e contrapposte, portando il Premier turco ad accusare di genocidio il collega israeliano, paragonandolo addirittura da Hitler.

Ma nonostante queste durissime accuse, Netanyahu e i suoi sanno perfettamente che non possono permettersi di aprire un altro fronte, soprattutto contro un avversario come la Turchia la quale, a sua volta, è altrettanto consapevole della forza di Tel Aviv che, tra l'altro, è anche dotata di armamento nucleare. Un arsenale di certo non ridondante, ma sicuramente sufficiente a creare la necessaria deterrenza e, nel caso, a deteriorare sensibilmente le capacità operative turche.

In tale contesto si pongono i primi colloqui che i due Paesi hanno avviato nei giorni scorsi in Azerbaigian, per cercare di disinnescare il “problema Siria” che, comunque, molto probabilmente non potrà essere eliminato. Infatti, è quasi scontato che la Turchia non “mollerà l'osso” siriano, perché oltre a garantirgli una presenza avanzata e strategica nell'area medio-orientale, gli potrebbe consentire di fronteggiare meglio il suo problema interno relativo alla minoranza curda, che non troverebbe più rifugio e spazio di manovra in territorio siriano.

Analogamente, Israele vorrà sicuramente garantirsi la possibilità di intervenire militarmente in Siria, contro qualsiasi situazione che ritenga pericolosa per la propria sicurezza, creando così una rischiosa vicinanza delle proprie forze con quelle turche.

Pertanto, il massimo che ci si possa attendere, da queste prime prove di “convivenza siriana” tra le due Nazioni, è un accordo tecnico di deconflittualità tra le operazioni militari, prevalentemente aeree, che Turchi ed Israeliani quasi sicuramente si ritroveranno a fare contemporaneamente.

Un passo veramente limitato e solo di natura strettamente tecnica, che consentirebbe quantomeno di ridurre la probabilità di incidenti, che costituiscono sempre un serio rischio per eventuali spiralizzazioni. In termini politici invece, nonostante l'impegno americano di mediazione, al momento non si intravedono serie prospettive e così sarà finché Tel Aviv continuerà a condurre operazioni militari a Gaza e in Cisgiordania, con l'inaccettabile aggravante del modo con cui le attua.

Marcello Bellacicco

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