Ottimisti, nonostante tutto. Dopo nove mesi di calo di fiducia, gli imprenditori piemontesi e torinesi sembrano tirare finalmente un sospiro di sollievo. Lo dicono i numeri della nuova indagine congiunturale di Confindustria Piemonte e Unione Industriali di Torino, che per la seconda metà del 2025 mostrano segnali positivi su tutti i fronti: occupazione, produzione, nuovi ordini e, seppur ancora con il segno meno, anche redditività ed export. Le cifre parlano chiaro e, almeno per ora, gli ottimisti superano i pessimisti, con un margine più ampio nel resto della regione rispetto al capoluogo.
Torino, in particolare, mostra una certa prudenza, ma i numeri sono comunque in crescita: +4,3% sull’occupazione, +4,5 sulla produzione e +1,6 sui nuovi ordini. Si riduce leggermente la quota di imprese che investono (dal 73 al 70%) e cala anche il ricorso alla cassa integrazione (dal 14 all’11,1%, tornando ai livelli del 2023). Tiene invece l’utilizzo degli impianti, stabile al 76%. Restano sotto pressione comparti come il tessile, la metalmeccanica e il manifatturiero, che si assestano su un preoccupante 16,9%.
Anche sul fronte della liquidità, si registra qualche segnale di miglioramento, con una riduzione dei ritardi nei pagamenti e degli incassi. Gli ordinativi si allungano leggermente, stabilizzandosi sui tre mesi, ma due aziende su tre lavorano ancora su un orizzonte inferiore ai sei mesi.
A preoccupare restano le dinamiche sui mercati internazionali, dove le guerre e le tensioni commerciali – alimentate anche da minacce di dazi come quelli avanzati (e poi parzialmente ritirati) dagli Usa – continuano a generare incertezza. In questo scenario, i settori più fiduciosi sul fronte della produzione sono alimentare, tessile, edilizia, carta ed editoria. Più pessimisti, invece, i comparti della metalmeccanica e della gomma plastica, mentre i servizi restano in crescita costante.
Amalberto: “Bene l’agroalimentare astigiano, ma la metalmeccanica resta in affanno”
Andrea Amalberto, presidente di Confindustria Piemonte e astigiano , legge i dati con un cauto realismo. “Per la provincia di Asti – spiega – l’agroalimentare va bene, mentre la metalmeccanica è migliorata rispetto al passato, ma resta comunque un terreno negativo”. Il riferimento è implicito a un tessuto produttivo che, se da un lato vanta eccellenze esportatrici – a cominciare dal vino – dall’altro soffre ancora per una transizione industriale non del tutto compiuta.
Ma proprio l’export enologico potrebbe riservare sorprese non del tutto positive. “Avrà influito sugli ordinativi del vino la paura dei dazi – osserva Amalberto – e quindi avranno fatto scorta sulle necessità. Credo che queste azioni a livello Usa saranno comunque ridimensionate”. L’allusione è alla corsa dell’inizio anno verso le etichette italiane, per anticipare eventuali rincari. “Gennaio, febbraio e marzo sono stati mesi positivi verso gli Usa – aggiunge – ma ora sono forse quelli dai prezzi più contenuti a soffrire. Qualche rallentamento ci sarà”.
Gay: “Serve un passo europeo”
Della stessa opinione anche Marco Gay, presidente dell’Unione Industriali di Torino, che sottolinea come la varietà produttiva sia oggi un’ancora di salvezza: “Vediamo una dimensione sempre più eterogenea come produzioni industriali sul territorio e questo permette di ammortizzare le difficoltà dell’automotive e di certa manifattura. La capacità di integrare mercati diversi affacciandosi a nuove opportunità sta comunque dando i suoi frutti”.
Sulla prospettiva atlantica, Gay ricorda come “molte multinazionali americane continuano a essere da noi, ma in un’ottica sempre più europea bisogna cambiare passo su burocrazia, energia e investimenti, favorendo soprattutto quelli privati”. Anche la mobilità e l’automotive restano centrali: “Abbiamo legami forti con produttori europei, non solo Stellantis. Senza dimenticare aerospazio e difesa, con Torino protagonista. Non sarà forse elemento sostitutivo, ma integrativo in vista di mesi che non saranno certamente semplici”.
Quanto agli Usa, spiega: “Spostarsi là richiede almeno 2-3 anni. Forse sono più fattibili le joint venture, mentre nel frattempo sta proseguendo il reshoring europeo”.
Tra vino e dazi
Di certo, nell’immediato futuro saranno proprio i dazi le sfide più complesse da affrontare. “La mia terra che è esportatrice di vino mi dice che gennaio, febbraio e marzo sono stati mesi positivi verso gli Usa. E ora sono forse quelli dai prezzi più contenuti a soffrire, forse qualche rallentamento ci sarà”, spiega l’astigiano Andrea Amalberto
“Spero che la diplomazia faccia la sua parte - prosegue Gay - ma siamo di fronte anche a piani di medio lungo periodo e progetti che hanno orizzonti di medio lungo periodo. Certo, le dichiarazioni destano preoccupazioni, ma c’è una visione di medio periodo. Abbiamo vissuto periodi molto difficili anche solo nel 2020, quindi siamo abituati a mantenere i nervi saldi”.