Confunsione generale è scaturita dopo l’approvazione del decreto sicurezza e la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale venerdì scorso. In teoria, il nuovo decreto modificherebbe la Legge 242/2016, che, fino a qualche giorno fa, consentiva la coltivazione e la vendita di cannabis light per scopi industriali (alimentare, cosmetico, tessile, edilizio). Dal punto di vista legale, prima del decreto sicurezza era possibile coltivare e commerciare il prodotto, contentente al massimo lo 0,2% di THC. Ora, la sua produzione dovrebbe venire ostacolata.
Si utilizza il condizionale perché, nella pratica, la situazione è ben diversa: “Per ora, le forze dell’ordine non si sono ancora mosse. Tutti stanno aspettando dei chiarimenti a riguardo: sia chi deve mettere in attuazione la direttiva del decreto, sia chi deve rispettarla”, spiega Sonia Baccan, proprietaria di un’azienda in provincia di Asti che ha deciso di entrare in questo business.
La storia dell’attività e il suo funzionamento
Nasce in provincia di Asti, a San Paolo Solbrito, come azienda agricola di seminativi e prodotti dell’orto, fino ad ampliare la sua attività alla coltivazione della cannabis light. “Nonostante non abbia mai fatto uso di cannabis, ho trovato questo tipo di mercato interessante. Mi sono attivata e ho predisposto una parte della mia azienda alla sua coltivazione”, spiega Baccan.
La decisione di entrare in questo business è avvenuta grazie al contatto con una sua amica che, in provincia di Torino, ha avviato un’impresa dello stesso tipo. Prima della conversione del ddl sicurezza in decreto legge, Baccan aveva effettuato ricerche dal punto di vista legale per entrare nel settore: “La produzione di cannabis light è soggetta ad analisi sistematiche per poter essere commercializzata esclusivamente entro certi parametri”.
Attualmente, nonostante la situazione poco chiara, Baccan ha preso una scelta: “Ho deciso di smettere di andare in produzione. Questo tipo di coltivazione ha dei costi non indifferenti. Senza avere la sicurezza di poter vendere il prodotto, non me la sono sentita”.
Come si è passati dal disegno al decreto di legge “Sicurezza”?
Nel novembre 2023, il governo italiano ha approvato il ddl “Sicurezza”, un disegno di legge composto da trentotto articoli. Tra questi, uno dei suoi contenuti è volto a vietare la coltivazione e la vendita di infiorescenze di cannabis light. L’emendamento, dopo essere stato presentato a gennaio alla Camera, è stato approvato nel settembre del 2024, passando in discussione al Senato. A questo punto, l’iter si è rallentato per i numerosi dubbi portati avanti dall’opposizione.
Proprio a causa delle opinioni del governo in contrasto con la lunga attesa del Parlamento, all’inizio di aprile il testo è stato approvato come decreto legge d’urgenza dal Consiglio dei ministri e l’11 aprile è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, entrando in vigore il giorno dopo.
In parole semplici, cosa succede ora? Dopo la sua pubblicazione, un decreto diventa vincolante per tutte e tutti in Italia, ma va presentato alle due Camere per la sua conversione in legge. Se ciò non avviene entro 60 giorni, il decreto perde efficacia con effetto retroattivo, come se non fosse mai esistito.
Baccan è testimone dell’ingarbugliato percorso legislativo per vietare il commercio di cannabis light: “Dall’anno scorso il governo sta cercando di chiudere questo mercato. Adesso non si capisce esattamente quali saranno gli sviluppi della situazione”, racconta la proprietaria dell’azienda agricola.
Cosa succederà nella pratica se questa legge diventerà attuativa?
Le criticità di questo decreto vertono su molti fattori per chi è del settore. La possibile chiusura di tante aziende, la perdita di posti di lavoro e gravi perdite economiche per gli imprenditori italiani sono i principali punti critici evidenziati da Baccan: “Con questo tipo di produzione si pagano le tasse e, inoltre, tantissime famiglie lavorano in questi impianti”.
Continua Baccan: “Cominceranno i sequestri, ci saranno tante cause che andranno a intasare i tribunali. Inoltre tanti dichiareranno fallimento, tante persone finiranno in Naspi e tante famiglie non avranno più uno stipendio. Una ricaduta sul territorio nazionale a cui nessuno dà peso. Nessuno pensa che ci sia un comparto di lavoratori all’interno di questo mercato”.
Inoltre, rendere illegale la produzione di cannabis light, non bloccherà il consumo: “i consumatori continuerebbero ad acquistare il prodotto attraverso canali illeciti. Questo significherebbe regalare milioni di euro di fatturato alla criminalità organizzata”.
Come tanti suoi collgehi, Baccan è molto sicura della conversione in legge, ancora non avvenuta: “Secondo me, diventerà legge. La maggioranza è molto compatta. Personalmente, anche fermandomi, non avrò problemi perché la mia azienda ha altre risorse. Per altre persone non è così: chi produce solo cannabis light e ha dipendenti, avrà sicuramente un danno”.
Intanto, tante aziende del settore si stanno muovendo per far valere i loro diritti in vista di cambiamenti legislativi: “molte sono iscritte alle varie associazioni di categoria, facendo fronte compatto con avvocati,” - spiega Baccan - “quest’ultime hanno detto che si occuperanno delle possibili cause legali, ma intanto il danno rimane per il singolo venditore. Non fa piacere”.
Gli stereotipi sulla cannabis light e la disparità di genere nel settore
Quotidianamente, i venditori di questo settore si trovano a rispondere a molte domande, nella maggior parte dei casi scettiche: “La mancata conoscenza del prodotto e dei suoi utilizzi determina un grande scetticismo in Italia. Questo è dovuto all’ignoranza riguardo al nostro lavoro. Quello che viene prodotto non altera lo stato mentale, come invece pensa chi non conosce il settore”.
Per contrastare le opinioni avverse, i venditori fanno leva sui controlli effettuati in modo regolare: “Periodicamente si analizzano i prodotti che si coltivano e su cui si pagano le tasse”, sottolinea Baccan.
Lo stereotipo legato al commercio di cannabis light sembra avere più impatto sulle donne che sugli uomini, come illustra Baccan, raccontando la grande disparità di genere nel settore: “Questo è un campo prevalentemente maschile. C’è poca conoscenza e molte donne non vogliono esporsi per paura del giudizio sociale. Questo è dovuto ai pregiudizi che ancora esistono nei confronti del prodotto”.