Si è conclusa oggi la quinta udienza del processo a carico di Makka Sulaev, con la valutazione della perita psichiatrica e, successivamente, le dichiarazioni dell’imputata, che ha risposto alle domande del suo avvocato e del pubblico ministero riguardo alle sue azioni, motivazioni e al contesto familiare pregresso al tragico evento del primo marzo 2024.
Valutazioni sulla capacità di intendere e di volere di Makka al momento dei fatti
L’analisi condotta dalla dottoressa Sarah Di Marco si è basata sui due incontri avuti con Makka: il primo con i consulenti delle parti in causa e il secondo in via telematica.
“Ho ritenuto di approfondire alcuni aspetti strutturali che riguardavano la persona proprio perché di fatto, a parte le due consulenze, non era nota anamnesi psichiatrica - ha spiegato, prima di entrare nel dettaglio - Ho cercato di ricostruire la storia personale e ho effettuato una visita psichiatrica specialistica per approfondire alcuni aspetti che erano emersi durante la siglatura dei test psicodiagnostici”.
Nello specifico, l’analisi della dottoressa, consegnata alla corte e alle parti in una relazione basata sui test psicodiagnostici Minnesota MPI e Rorschach, non ha riscontrato segni e sintomi di patologie psichiatriche maggiori come schizofrenia o disturbi dell'umore.
Si riconosce, però, la possibilità di un disturbo correlato all'area del trauma, sicuramente legato all’omicidio del padre.
“Entrambi i test sono stati somministrati a posteriori rispetto ai fatti e quello che ho ritenuto evidenziare è che gli eventi che si sono verificati il giorno del primo marzo e a seguire sono di per loro di entità e portata tale da poter determinare un ulteriore danno traumatico in questo contesto", dichiara Di Marco, che riconosce la presenza di "numerosi eventi drammatici" sin dalla giovane età, inclusi il "trauma migratorio" e una serie di eventi quotidiani che, sommandosi, possono aver determinato problematiche psicologiche.
Esame dell’imputata: la dinamica degli eventi del primo marzo 2024
Dopo precedenti cinque dichiarazioni, oggi Makka ha risposto alle domande del suo legale e del pubblico ministero, descrivendo un quadro drammatico degli eventi e delle sue motivazioni, segnate dalla paura e dal tentativo di proteggere se stessa e la madre.
Un tema centrale nella testimonianza di Makka è il clima di terrore e violenza che lei e la sua famiglia vivevano a causa del padre: “Avevamo tutti paura di lui. La paura era una costante della nostra vita. Lui voleva che avessimo paura", ha affermato con voce tremante, raccontando anche di un episodio in cui il padre minacciò la madre con un coltello.
Il tragico racconto della ragazza parte dall’invio dei messaggi minatori di Akhyad Sulaev alla moglie, che ha deciso di inoltrarli alla figlia, presa da un “momento di ansia confusione e rabbia”, scaturito dalla paura per l'incolumità della mamma.
“Volevi uccidere tuo papà?”, ha domandato l’avvocato Sfolcini. Makka ha risposto con un “No” sicuro; infatti, l’acquisto del coltello è stato giustificato come un atto di autodifesa, non con volontà di uccidere, ma di spaventare per prendere tempo durante un eventuale arrivo delle forze dell’ordine: “Il mio ragionamento era che, se devo minacciare un uomo più alto e grosso di me, non si sarebbe fermato con un coltello da pane o da burro. Un coltello più grande avrebbe spaventato di più”.
La ragazza ha poi spiegato perché non ha voluto subito chiamare le forze dell’ordine, valutando che il momento non fosse opportuno, perché non c’erano abbastanza prove per risolvere la situazione.
“Sentivamo spesso storie di denunce in cui non veniva fatto niente. Io sentivo delle storie in cui delle ragazze che vivevano situazioni particolari in cui dicevano abbiamo denunciato ma il carnefice è ancora lì fuori”, ha raccontato.
Rispondendo al PM sul giorno dell’omicidio, Makka ha aggiunto che la mancata chiamata ai Carabinieri è stata a causa dell’aumentare della violenza in casa: “Prendo il telefono apro l’app per chiamare, ho intenzione di digitare il 112 e in quel momento per il panico non ricordavo che fosse quello il numero – racconta, descrivendo il momento in cui il padre stava aggredendo la madre - Non li chiamo perché intanto c’è l’urlo di mia madre e quindi lascio il telefono e corro in cucina".
Makka ha poi avuto difficoltà a descrivere le motivazioni del secondo colpo, domanda posta dal PM, dopo averle chiesto il motivo per cui non avesse risposto alla sorella sull’intenzione di chiamare i Carabinieri.
Quel che emerge è l’acuirsi di situazioni di violenza e traumi all’interno della famiglia, costretta alle volontà totali dell’uomo che avrebbe giurato di fare strage di loro per i giornali.
“Odiavi tuo padre?”, chiede l’avvocato. “Da piccola no, perché certe cose non le capisci. Crescendo le cose le capisci e ti senti diverso dagli altri bambini. Avevamo tutti paura di lui. La paura era una costante della nostra vita. Lui voleva che avessimo paura”.