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Copertina | 29 marzo 2025, 00:00

Storie di Orgoglio Astigiano. Matteo Piano e l'addio al volley: "Cosa avrei fatto senza il pallone? Forse l'attore o il cantante. Nulla che non si possa provare ora!"

Il gigante buono della pallavolo si racconta oltre la rete: "Il mio cibo preferito? Impazzisco per il gelato. La terra che porto nel cuore? L'Uruguay"

Credits da sx: Alessandro Sacco - Maurizio Lollini (3mmedia.it)

Credits da sx: Alessandro Sacco - Maurizio Lollini (3mmedia.it)

Per accompagnarti nella lettura di questa intervista ti consiglio la canzone Ordinary, di Alex Warren, contenuta nella playlist "Orgoglio Astigiano" su Spotify

2 metri e 9 centimetri, con il numero 11 impresso sulla maglia, che vestirà per sempre, anche in costume da bagno o con un golfino di lana e quel sorriso contagioso stampato sul volto. Matteo Piano ha annunciato poche settimane fa l'addio al volley.

Tanti i successi messi in bisaccia, tra cui la medaglia d’argento olimpica a Rio 2016 con la Nazionale e il ruolo di capitano a Milano, club con cui ha alzato la Challenge Cup 2020-21.

Nato sotto il segno della pallavolo, quella pallavolo magica che ha vissuto con la prospettiva del centrale, innaffiando di giorno in giorno quel seme di speranza e passione, scoperto in palestra ad Asti. Nella sua Asti.

Classe 1990, lo incontro al telefono. Matteo è davvero il gigante buono della pallavolo e si racconta oltre la rete con naturalezza e umanità.

Gli chiedo di riavvolgere il nastro e di partire dall'inizio. E l'inizio è proprio Asti.

Matteo, che rapporto hai con il territorio astigiano?

Un rapporto bellissimo, sono affezionatissimo da sempre a queste terre. Pensa, Elisabetta, che tutti gli amici mi prendono in giro perchè dicono che non perdo occasione di fare da 'promotore' della città, anche in giro per il mondo. Ad Asti ho portato tante persone (tifosi, compagni, amici...), anche al Festival delle Sagre, che adoro. E spero di continuare a portare persone. Sono un fan sfegatato di Asti, sì, lo ammetto! E poi Asti è il luogo da cui tutto è cominciato. La foto di un piccolo me in Copertina è sempre stata a casa di mia nonna Dina, finchè ha vissuto, e mi faceva sorridere vedermi lì con quel bel taglio a scodella sul suo freezer quando andavo a trovarla. Da quella palestra di Asti sono arrivato fino a Milano e il 2 marzo all'Allianz Cloud ho fatto la mia ultima partita di Campionato (Regular Season, ndr).

E cosa pensi della valorizzazione del nostro territorio?

Non lo so, ma penso che ci voglia tanto impegno per riuscire a fare qualcosa qui. Sicuramente penso che negli ultimi tempi siamo migliorati. Quando sono venuto ad Asti per presentare il mio libro, ad esempio, ho visto una città orgogliosa e partecipe. E l'astigiano tende a essere difficile da smuovere. Bisogna continuare a lavorare. Ogni volta che torno mi sento abbracciato da questa città: è il bello di una piccola realtà, hai quell'onore e onere di essere rappresentativo. Come se la tua faccia esprimesse il messaggio del “ce la si può fare, metticela tutta!”.

E, a proposito di inizi, come è arrivata la pallavolo nella tua vita?

Conosco da piccolissimo la Voluntas. Avrò avuto sei anni. Ero indeciso tra il basket e la pallavolo. Poi, però, a undici anni, guardando Mila e Shiro, ho ripreso a giocare a pallavolo e da quel momento non l'ho più mollata.

Che cosa rappresenta per te il volley? Ha assunto significati diversi nel corso degli anni?

È un divertimento da sempre. Poi, però, ho capito che fosse il mio palcoscenico. Fin da ragazzo amavo il teatro e l'ho fatto tanto ad Asti. Il volley è stato il mio modo di comunicare, di esprimermi, di fare qualcosa per me e per gli altri. Il pallone era ed è la matita con cui disegnare, ecco. E poi è diventato anche lavoro, certo.

Il ricordo più bello della tua carriera?

La prima Coppa Italia vinta con Modena, ma ce ne sono stati così tanti. Ho avuto una carriera travagliata e difficile, ma ho sempre mantenuto un carattere positivo e alla fine me la sono goduta tutta. Mi porto dietro tanto. Ho fatto tante cose, mi sono aperto al mondo e ho saputo gioire anche della semplicità delle giornate, dell'affetto che le persone mi dimostrano. Sono cose uniche, ma così belle nella loro semplicità, che in fondo alla fine sta tutto lì, no? Forse sono questi i ricordi più belli.

I momenti più difficili, quelli al limite della resa? E cosa pensi delle difficoltà?

Ho pensato di mollare tante volte, non mi vergogno a dirlo. Ho subìto molti interventi; nel 2018 quello al tendine d'Achille l'ho patito tantissimo. Penso che sia normale avere difficoltà, la differenza sta nel dirlo o non dirlo. Normalizziamoli questi momenti bui! Da un lato ti senti viziato, perchè magari vuoi mollare e stai facendo una cosa bellissima che in tanti vorrebbero fare. Siamo ancora troppo bigotti e tendiamo a giudicare noi stessi con i filtri che userebbe la società. Non è detto che facendo una cosa stupenda agli occhi di tanti tu la viva tutti i giorni incredibilmente. Per affrontare le situazioni bisogna capirle e accettarle, con onestà intellettuale e grinta.

Il dolore sparisce se si trovano le parole per dirlo 

Quando Matteo parla io annuisco incondizionatamente dall'altra parte del telefono. Ha dannatamente ragione. Il buio è uno stato esistenziale che, prima o poi, tutti sperimentano. E la differenza, è proprio vero, sta nel dirlo o non dirlo. Sul frigo di casa mia appiccico post-it in cui annoto frasi sull'esistenza. Una sola regola: aver sperimentato in prima persona ciò che ci scrivo sopra, onde evitare che diventi mero esibizionismo intellettuale (cosa che tanto odio e che quindi è bandita da casa mia). Ad ogni modo, ce n'è uno che ho appeso con grande soddisfazione qualche mese fa, dopo averne fatto esperienza. “Il dolore sparisce se si trovano le parole per dirlo”. Un insegnamento di vita bellissimo, che non voglio più dimenticare.

Un consiglio ai ragazzi che cercano se stessi?

Datevi del tempo. Il tempo, per esempio, di portare a termine certe cose per poi capire meglio. Credo che l'importante sia divertirsi e ascoltarsi molto. E poi un pizzico di ambizione non guasta. Avere la pazienza di dare tempo al buio di fluire. E, soprattutto, la forza di starci dentro, di passarci attraverso. Qualcosa se ne trae sempre.

L'incontro più bello?

Domanda difficilissima, perchè ne ho fatti tantissimi in momenti diversi della mia vita. Ti direi quello con Luca Vettori.

Ecco, mi fai un assist bellissimo. Sei sempre stato molto attento e sensibile alla solidarietà...

Sì, ad esempio, con Luca Vettori qualche anno fa abbiamo fondato “Brododibecchi”, una webradio, diventata poi associazione culturale e, in ultimo, brand etico e artigianale che offre lavoro in Africa.

Mi ricordo che avevi anche incontrato i ragazzi e le ragazze del Sitting Volley di Chieri!

Oh, sì, grazie per avermi riportato a quei momenti! Era stato un incontro bellissimo quello a Chieri, davvero emozionante. Io penso che sia importante fare attività di comunicazione quando si arriva a livelli agonistici elevati. E poi, le cose belle è proprio bello comunicarle. Sono sensibile, non è mai stato per me uno sforzo. Se riesco a trovare progetti interessanti e contribuire in qualche modo, penso che sia gratificante.

Come hai maturato la decisione di dire addio al volley?

Fisicamente sono stanco. Lo dicevo l'altro giorno a un amico. Sono troppo professionista, nel senso che ci tengo e volevo uscire di scena ancora da forte. Credo di aver visto quasi tutto qui a Milano con la pallavolo, ho imparato tanto, ho dato tanto. Penso che ormai la pallavolo mi abbia dato tutto e io abbia dato tutto a lei. Mi sento una superstar wannabe (ride, ndr) e non ho voluto andare avanti e scendere di livello. Ho preferito fermarmi prima. Sono giovane, in questo momento mi sento bene, va bene così. A 30 anni si può fare ancora tutto ciò che si vuole!

Come l'hanno presa i tuoi amici e i tuoi familiari?

È stato divertente perchè per tutti i miei amici è finita un'era. Venivano a vedermi, il lunedì ero libero e quindi si faceva sempre qualcosa. La mia famiglia è serena: mamma voleva smettessi prima perchè aveva paura degli infortuni. Mi è arrivata un'ondata incredibile di affetto. Io di prime volte ne ho fatte tante, questa è stata una prima volta in cui ho sentito la vicinanza di tante persone.

E ora?

Vorrei fare radio, dedicarmi al mondo della comunicazione e dello spettacolo, ma in parallelo continuare con la pallavolo, vorrei restare nel volley in altre vesti, continuando a lavorare con i ragazzi nei camp. Vedremo, diciamo che sono aperto a proposte!

Se non avessi fatto il pallavolista, cosa avresti voluto fare da grande?

Il cantante o l'attore. Nulla che non si possa fare adesso!

Tornerai a vivere ad Asti o Milano è la città da cui al momento ti senti più accolto?

Vivo a Milano e penso che continuerò a viverci: è la mia città per gli anni futuri, per ciò che arriverà. Non so se tornerò a vivere ad Asti, so che per adesso la mia vita è a Milano. Torno ad Asti di continuo, ho bisogno di ritornarci ogni tot. C'è da dire che vorrei vivere in posti diversi, faccio fatica a vedermi in un solo posto tutto l'anno. Amo viaggiare.

Il viaggio del cuore?

Quello in Uruguay. Una terra che mi è rimasta dentro e che non dimenticherò mai.

Cosa ti piace fare nel tempo libero? Dimmi un altro po' del Matteo 'oltre la rete'...

Vado un sacco a teatro, adoro il cinema, viaggio tanto, leggo. Ho molti interessi, sono stato un ragazzo fortunato che ha fatto tante cose ed è riuscito a portarsele tutte dietro.

Hai rimpianti?

No, ad oggi nessun rimpianto. La mia carriera è stata bellissima. Conta che non avevo nessun parente sportivo, per cui è stato tutto magico. Ho lasciato casa a 18 anni, i miei genitori mi hanno sostenuto fin dall'inizio e mi hanno trasmesso valori stupendi.

Ma... sei su un'isola deserta, puoi portarti solo un cibo. Cosa scegli?

Il gelato! Tutta la vita, ho una passione assurda per il gelato, ne vado matto!
 

Elisabetta Testa

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