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Attualità | 18 marzo 2025, 18:09

Una storia di riscatto e libertà: Maria, la sedicenne che voleva rimanere ad Asti con i suoi coetanei ma per otto mesi è stata costretta in Centro Africa

La segnalazione partita dal dirigente scolastico. Il questore Di Donato: “Grazie ad una rete di contatti la abbiamo riportata in Italia. Ma abbiamo dovuto attendere la maggiore età”

Immagine generica realizzata con l'intelligenza artificiale

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“Questa è la storia di una ragazza come voi, italiana, astigiana, che ha dovuto lottare per tornare a vivere la sua vita”. Racconta così nelle scuole la vicenda di “Maria” (nome di fantasia), il questore di Asti, Marina Di Donato. E Maria, origine centroafricana, cittadina italiana, a soli 16 anni ha dovuto conquistarsi una libertà che le è stata negata per diverso tempo.

La vicenda inizia dall'attenzione della scuola
 

La storia inizia con una segnalazione arrivata alla Questura nel dicembre 2023. “Il dirigente scolastico aveva notato l’assenza della ragazza e aveva chiesto spiegazioni alla famiglia, che aveva risposto come la figlia avesse deciso di non continuare gli studi”, ci spiega il questore che, da tempo, conduce un attento lavoro con le realtà scolastiche astigiane.

La realtà di Maria però era diversa. A 16 anni aveva una relazione con un ragazzo, come tante ragazze della sua età, ma il flirt non era gradito dalla famiglia, anzi il padre aveva “combinato” il fidanzamento con un connazionale, impedendole di uscire e frequentare i suoi coetanei. “Lei aveva accettato pur di avere più libertà, ma poi aveva rifiutato il fidanzamento, scatenando una forte reazione da parte del padre”, ha raccontato il questore.

A maggio 2023, verso la fine della scuola, con la scusa di visitare la nonna, Maria (che ricordiamo, aveva 16 anni) era stata portata in un villaggio rurale del Centro Africa e lì lasciata senza documenti, soldi né possibilità di tornare.

“Per otto mesi è stata praticamente isolata dalla comunità e senza contatti con l’esterno, ha continuato Di Donato. La svolta è arrivata quando un connazionale, preoccupato per la sua situazione, ha raccolto il suo grido di aiuto e, a dicembre, ha fatto arrivare la segnalazione in Italia”.

La Questura, in collaborazione con la Procura e il Ministero degli Affari Esteri, ha avviato un procedimento penale e ha lavorato per riportare Maria in Italia. “Abbiamo dovuto aspettare che compisse 18 anni, perché era ancora minorenne e senza passaporto, ha spiegato Di Donato. Grazie a un lasciapassare rilasciato dall’ambasciata di Dakar, la ragazza è riuscita a tornare in Italia, dopo un’operazione complessa che ha coinvolto diversi attori istituzionali".

La rete di sostegno per costruire un futuro
 

Ma il rientro non è stato l’unica sfida. “Maria si è trovata senza una famiglia che la accogliesse e senza un percorso immediato. Grazie alla rete di sostegno attivata dalla Questura, dalla scuola e dai servizi sociali, la ragazza è stata inserita in un ambiente protetto e ha ripreso gli studi. Stiamo cercando di renderla autonoma, con un percorso di crescita personale e professionale”, ha aggiunto Di Donato.

La vicenda, però, non è ancora chiusa. “Abbiamo avviato un procedimento penale, ma il caso è delicato e va gestito con attenzione”, ha sottolineato il questore, evidenziando la complessità della situazione familiare e culturale che ha portato a questa storia. Una famiglia lavoratrice, va detto, anche ben inserita sul territorio.

Marina Di Donato ha ribadito l’importanza di non lasciare indietro nessuno: “Abbiamo fatto tanto per far tornare questa ragazza in Italia, e ora dobbiamo accompagnarla verso un futuro di libertà e autonomia. Non è facile, si è attivata tutta una lite di solidarietà che attualmente la sta ancora sostenendo, ma in questo percorso appunto di crescita che sicuramente non sarà breve, ci sono anche tanti aspetti psicologici da valutare".

Un appello è stato lanciato anche agli psicologi e psicoterapeuti della zona: “Stiamo cercando un professionista che possa offrire sostegno a Maria in modo volontario, per aiutarla a superare questa esperienza traumatica. Non chiede mai della sua famiglia, ma è in un ambiente protetto ed è serena. Ha una piccola rete di relazioni”.

Betty Martinelli

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