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Attualità | 17 marzo 2025, 12:26

I metalmeccanici astigiani tornano in sciopero il 28 marzo per il rinnovo del contratto

Sindacati in pressing: “Le aziende abbandonano il tavolo delle trattative e propongono una contro - piattaforma". Sul tavolo anche la questione della riduzione dell'orario lavorativo

Le immagini della conferenza stampa (Merphefoto)

Le immagini della conferenza stampa (Merphefoto)

Dopo le mobilitazioni del 15 gennaio e del 21 febbraio, la lotta dei metalmeccanici astigiani non si ferma. Il 28 marzo sarà una nuova giornata di sciopero in tutti i luoghi di lavoro che applicano il Ccnl Federmeccanica-Assistal. Una decisione inevitabile, secondo i sindacati Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil di Asti, di fronte all’intransigenza degli industriali, che rifiutano qualsiasi trattativa seria sul rinnovo del contratto nazionale scaduto a giugno 2024.

“Non vogliamo uno specchietto, vogliamo certezze!” è il grido lanciato dai segretari provinciali Luigi Tona (Fim-Cisl), Vito Carelli (Fiom-Cgil) e Silvano Uppo (Uilm-Uil) durante la conferenza stampa che ha anticipato la nuova mobilitazione. Il riferimento è alla proposta economica di Federmeccanica, giudicata insufficiente e priva di garanzie per il futuro dei lavoratori. La richiesta è chiara: aumenti salariali certi, riduzione strutturale dell’orario di lavoro a parità di salario e maggiori tutele contro la precarietà.

Una vertenza che si trascina da mesi

Il settore metalmeccanico, già in difficoltà per la crisi dell’automotive e per l’aumento dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali (+40% rispetto al 2023 nella provincia di Asti), vive una fase di profonda incertezza. Secondo i sindacati, il rinnovo del contratto collettivo è l’unico strumento concreto per garantire un potere d’acquisto adeguato ai lavoratori, sempre più schiacciati dall’inflazione e dal caro energia.

Ma le trattative con Federmeccanica si sono arenate. “Hanno abbandonato il tavolo negoziale, presentando una contrapiattaforma che di fatto ha chiuso ogni spiraglio di confronto” spiegano Tona, Carelli e Uppo. La proposta economica avanzata dagli industriali è considerata un passo indietro rispetto agli accordi precedenti: l’unico aumento garantito sarebbe legato all’IPCA (Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato), senza alcuna cifra fissa concordata. Un meccanismo che nel 2024 si tradurrebbe in un incremento di appena 32-33 euro mensili, ben lontano dalle necessità dei lavoratori.

La battaglia per una retribuzione dignitosa

La questione salariale è al centro della protesta. I sindacati ricordano che nel precedente rinnovo, grazie a una clausola di salvaguardia, gli aumenti furono ben più consistenti: 123 euro nel 2023 e 137 nel 2024. Ora, invece, la controparte propone un modello basato solo sulla variazione dell’inflazione, senza impegni concreti sulle cifre.

“Non si può firmare un contratto dove non è scritto nulla” denunciano i tre segretari provinciali. “Vogliono allungare la durata del contratto da tre a quattro anni, senza fissare aumenti certi. Questo significa lasciare i lavoratori nell’incertezza assoluta”.

A peggiorare il quadro è la crescente precarietà nel settore. Le ore di cassa integrazione autorizzate in Piemonte nel 2024 sono aumentate di 20 milioni rispetto all’anno precedente, segno di una crisi che sta colpendo duramente l’industria locale. Per questo i sindacati insistono sulla necessità di un contratto che non solo tuteli i salari, ma dia risposte anche sulle condizioni di lavoro.

Oltre agli aumenti salariali e alla riduzione dell’orario, un altro nodo cruciale della trattativa è il welfare aziendale. I sindacati denunciano un utilizzo sempre più distorto di strumenti che dovrebbero integrare il reddito dei lavoratori, ma che spesso si trasformano in un’alternativa ai normali aumenti di stipendio.

“La controparte insiste nel proporre benefit sotto forma di buoni spesa, assistenza sanitaria integrativa o premi variabili, ma questi strumenti non possono sostituire un aumento certo in busta paga” affermano  “I lavoratori hanno bisogno di stipendi più alti ogni mese, non di misure una tantum”.

Un altro aspetto critico è la disomogeneità nell’accesso ai servizi di welfare. Se nelle grandi aziende ci sono programmi strutturati che offrono sostegno alla genitorialità, rimborsi per le spese scolastiche e assistenza sanitaria avanzata, nelle piccole e medie imprese – che rappresentano la maggioranza del tessuto industriale astigiano – questi strumenti sono quasi assenti.

“La nostra proposta è chiara: il welfare deve essere garantito a tutti i lavoratori in modo equo e non deve essere usato per eludere i giusti aumenti retributivi”.

Riduzione dell’orario: una battaglia storica

Un altro tema centrale della vertenza è la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Attualmente, nel settore metalmeccanico esistono già 104 ore di riduzione annua, ma l’obiettivo è quello di arrivare a una settimana lavorativa di 35 ore.

“Questa non è una novità, è una battaglia storica” spiegano i sindacalisti. L’idea è quella di adattare il lavoro alle esigenze dei lavoratori, migliorando il benessere e, in alcuni casi, creando nuove opportunità occupazionali. “Dobbiamo decidere se vogliamo un modello produttivo simile al Nord Africa, con salari bassi e turni massacranti, o un modello Nord Europa, che garantisca qualità e dignità” sottolineano.

Le prossime tappe della mobilitazione

In attesa dello sciopero del 28 marzo, una delegazione di Rsu metalmeccaniche astigiane parteciperà all’assemblea nazionale dei delegati in programma il 21 marzo a Vicenza. Sarà un momento cruciale per definire le prossime strategie di lotta, in un contesto in cui la trattativa sembra ormai completamente bloccata.

Nel giorno dello sciopero, i lavoratori daranno vita a presìdi davanti agli stabilimenti del territorio, in un’azione diffusa che coinvolgerà tutto il Paese. 

Alessandro Franco

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