Dalla scoperta di una malattia cardiaca genetica, avventa casualmente a margine di una donazione di sangue, alla lunga attesa di un trapianto, fino alla gioia di un cuore nuovo. Quella che vi stiamo per raccontare - grazie alla generosità d'animo del suo protagonista, che ha voluto condividerla con noi per sensibilizzare sul tema della donazione di organi - è la storia di Giuliano Paniate, 34 anni, astigiano, che ha lottato per anni contro una cardiomiopatia ipertrofica dilatativa. E, soprattutto, una storia di responsabilità. Perché Giuliano, che ha ricevuto il suo nuovo cuore il 15 febbraio scorso all'ospedale Molinette di Torino, sente di vivere anche per la persona che, con il suo gesto, gli ha permesso di rinascere.
"Non so come si chiamasse, che viso avesse, ma so che sarò per sempre con questa persona, perché ormai è dentro di me", confida. "Tutto quello che faccio lo faccio con lui, e anche un po' per lui. Non voglio deluderlo". Quella di accettare il trapianto non è stata una decisione presa a cuor leggero, ammette Giuliano. "La mia grande difficoltà iniziale era prendere coscienza che non veniva fatta una scelta tra me e lui". Poi, la consapevolezza: "Lui non ci sarebbe stato comunque. Donando, ha scelto di dare la vita a qualcun altro".
La scoperta della malattia
La storia di Giuliano è emblematica di come la donazione – in ogni sua forma – possa cambiare il corso di un'esistenza. La sua odissea sanitaria è iniziata nel 2011, in modo del tutto inaspettato. "Sono andato a donare il sangue, avevo 20 anni, per me era la prima volta e mi sentivo un po' Padre Pio", racconta con l'ironia che non lo ha ma abbandonato. "Sì, insomma, volevo fare del bene. E invece, Padre Pio l'ho trovato io in quell'Asl". Un semplice elettrocardiogramma, durante la visita di idoneità, rivela una verità sconvolgente: Giuliano è affetto da una cardiomiopatia ipertrofica dilatativa, successivamente risultata di origine genetica. In quanto tale, il suo stato di salute precario non può trarre giovamento determinante dai farmaci: senza trapianto, il suo destino pareva essere segnato.
Sono iniziati così anni di terapie, ricoveri, l'impianto di un pacemaker. Accanto a lui, costantemente, la famiglia, sostegno imprescindibile nel lungo e tortuoso percorso: in particolare la mamma Giovanna, la sorella Chiara e la cugina Elena, infermiera proprio nel reparto di Cardiorianimazione dell'ospedale Molinette di Torino, cui Giuliano si è affidato con fiducia fin dalla scoperta della malattia.
Il baratro e la speranza: otto chiamate a vuoto, poi il cuore nuovo
Arriviamo così al 2020, il momento più critico. Giuliano è in fin di vita, ricoverato d'urgenza. I medici, tra cui il professor Massimo Boffini, cardiochirurgo che successivamente avrà un ruolo di primaria importanza nel buon esito dell'operazione chirurgica, inizialmente giudicano le sue condizioni come non idonee al trapianto. Ma il giovane astigiano non si arrende, reagisce positivamente alle terapie e, a fine settembre 2020, entra in lista d'attesa.
Inizia un lungo periodo di speranza mista ad angoscia. Nel susseguirsi dei mesi il telefono squilla per otto volte, ma ogni volta la speranza sfuma, ci sono pazienti in condizioni più critiche o altre condizioni che impediscono l'ingresso in sala operatoria. "Ero arrabbiato, deluso - ammette ora Giuliano - ma la voglia di vivere ha sempre vinto. Perché, nonostante la mia problematica cardiaca mi abbia messo più volte a dura prova, io non ho mai perso la voglia di vivere. Avevo e ho, oggi più che mai, tanta voglia di vivere".
La svolta risale a poche settimane fa, la sera del 14 febbraio, giorno di San Valentino. Arriva la chiamata, quella decisiva. All'ospedale, lo aspettano la dottoressa Gaia, specializzanda in cardiochirurgia, e i "suoi" cardiochirurghi: il già citato professor Massimo Boffini, la dottoressa Erika Simonato e il dottor Matteo Marro. Nonostante nessuno di loro fosse in turno, hanno tutti 'messo in sospeso' per alcune ore le proprie vite personali per essere presenti per lui
L'intervento è stato un successo: "Scherzando, il professor Boffini mi ha detto che mi hanno messo un'Abarth", ricorda ora Giuliano, il cui cuore batteva a 50 battiti al minuto 'contro' i 90 di quello impiantato.
Testimonial per la Vita
Dimesso dopo poche settimane di degenza, Giuliano ora è pronto a iniziare un nuovo capitolo della sua vita. "Sono consapevole che il primo anno dopo il trapianto sia il più difficile per il rischio di infezioni - ha argomentato - e che debbo prendere dei farmaci immunosopressori, per quanto siano molti meno medicinali rispetto agli oltre 20 farmaci al giorno che dovevo assumere prima, ma io mi sento libero, nuovo".
Libero dalla paura di morire e dai tanti vincoli che una malattia come la sua comporta, ma soprattutto libero e motivato nel portare avanti una missione: "Ho voluto raccontare la mia storia, e voglio andare in giro a parlarne ancora e ancora, per contribuire a far capire alle persone cosa significhi donare, in tutte le accezioni del termine".
Perché scelte come donare il sangue, optare per consentire la donazione dei propri organi in casi estremi o non impedire l'espianto degli organi di familiari purtroppo deceduti, possono rivelarsi determinanti per salvare delle vite. O per contribuire a farne rifiorire una che rischiava di appassire prematuramente.