Per accompagnarti nella lettura di questa intervista ti consiglio la canzone How far I'll go, di Alessia Cara, contenuta nella playlist "Orgoglio Astigiano" su Spotify
Leggo qualcosa di un libro che parla di acqua, di oceani e di fantasia. L'autrice è Annalisa Griffa, un'oceanografa astigiana.
Classe 1954, sono determinata a intervistarla. Voglio sapere tutto di lei e del suo mestiere così affascinante, ma anche così sconosciuto ai più. La chiacchierata telefonica è bellissima. Ve la racconto così.
Annalisa, cosa ti lega al territorio astigiano?
Sono un'astigiana doc. Ad Asti ho frequentato tutte le scuole, fino al Liceo Classico. Poi ho studiato Fisica all'Università di Torino. Diciamo che sono stata lontana da Asti per tanti anni, ma ultimamente mi ci sono nuovamente avvicinata.
Come ti sei riavvicinata ad Asti?
In realtà attraverso il mio libro, "Sott'acqua", edito da Araba Fenice. Pensa che l'ho presentato recentemente ad Asti e all'evento ho trovato le mie compagne di classe delle elementari! È stato bellissimo e davvero inaspettato. Elisabetta, noi abbiamo 70 anni, è passato così tanto tempo da allora... Capisci che quelli sono anni in cui si formano legami pazzeschi e i luoghi continuano a parlarti, anche se tu non ci sei stata. Tanti ricordi, colori, odori: Asti è cambiata tanto, ma è stato bellissimo.
Parliamo un po' del tuo libro
Quando sono andata in pensione, inaspettatamente mi sono ritrovata a scrivere questo racconto, che era stato dentro di me per tanto tempo. Avevo questa fantasia nata dal lavoro fatto per una vita, dall'inesplorato, dall'abisso, dal buio. Immaginavo che cosa vedessero le sonde sott'acqua. È stato divertente e importante scriverlo. Un'esperienza diversa, ma bellissima, che mi ha aiutata a rivedere tante persone che non vedevo da tanto tempo.
Sott'acqua. Una storia d'amore e di mare
Sott'acqua è un libro d'amore e di passioni. Passioni forti per il mare, per le acque oscure, laggiù nel fondo degli oceani dove la luce del sole non arriva. Ma è anche una storia d'amore nel più classico dei significati: una relazione difficile, com'è difficile sempre il vero amore. Gianna è una ricercatrice, divisa tra il levante ligure e la Florida. Ama la vita, il suo lavoro e adesso ama anche Francesco. Dove porterà tutto questo, tra la sirena di una passione complicata, e le presunte sirene degli abissi marini? Annalisa Griffa trova la sua storia nel mare. E ci invita a leggerla, per condividere i tuffi del cuore della protagonista, nella crudeltà della natura e in quella, non da meno, dei sentimenti umani.
Come è nata la tua passione per l'acqua e per l'oceanografia?
Inizialmente pensavo di fare fisica delle particelle, ma avevo da sempre la passione per l'acqua e il mare. Fin da bambina adoravo andare in piscina. Sono anche stata insegnante di nuoto per diversi anni. Pertanto avevo deciso di provare a mettere insieme la fisica con lo studio del mare.
L'incontro 'svolta'?
Negli anni Settanta un professore argentino all'università di Torino fa da tramite con il mondo della ricerca marina. Nel senso che aveva fatto un lavoro sulle correnti marine, applicando un suo metodo teorico. Erano gli anni in cui stava nascendo l'oceanografia in Italia, mentre in America era già nata nel dopoguerra, di fatto. In quel momento ho conosciuto un professore americano e da lì sono andata in America, frequentando un dottorato in California. Nel frattempo lavoravo anche per la CNR in Liguria. Mi sono quindi separata dall'Italia e dal Piemonte, dalla metà degli anni Ottanta, dividendomi poi tra la Liguria e gli USA. Di fatto la mia carriera è iniziata dopo la laurea. Dopo il dottorato sono tornata in Liguria, poi di nuovo a Miami. Ho lavorato a Miami per dieci anni, ma venivo spesso anche in Italia. Ora abito a Lerici.
Il mare mi affascina, ma mi rendo conto di non sapere nulla della tua professione. Cosa fa concretamente un oceanografo?
L'oceanografo non fa il biologo, anche se molti si immaginano una figura che abbia a che fare con gli animali. Non è così, nel senso che io sono una fisica. Studio le correnti marine, il loro impatto sul trasporto di sostanze biologiche. Oppure, nel caso di incidenti magari con il petrolio versato in acqua, come le correnti lo trasportano e il loro rapporto con il clima. Il mare gioca un ruolo cruciale per noi: assorbe il 90% del calore prodotto antropogenicamente.
Come studiate concretamente le correnti marine?
Abbiamo tanti strumenti in mare, che ci permettono di raccogliere dati, analizzarli e mettere insieme anche modelli matematici. Siamo un po' come i meteorologi del mare, che prendono tutti i dati delle varie stazioni meteo, li combinano insieme a modelli matematici di previsione e studiano cosa fa l'atmosfera. Noi facciamo la stessa cosa, ma con il mare, che è molto complesso, perché ti fornisce molti meno dati. E c'è di più: il mare è impermeabile alle onde elettromagnetiche, quindi è molto difficile la comunicazione.
La giornata tipo di un oceanografo?
In primis si guardano i nuovi dati arrivati (anche grazie a strumenti autonomi che quotidianamente te ne forniscono), li si analizza e, a seconda di quello che è il soggetto specifico, li si mette insieme con altri per cercare di capire cosa sia successo. Adesso abbiamo anche radar oceanografici che ci dicono com'è la corrente in mare dalla zona di Viareggio fino a Celle Ligure, per esempio: una fascia di mare larga 80 km in cui i nostri dati ci dicono ogni giorno come cambia la corrente (da che parte va, quante volte si inverte, quante volte forma dei vortici, per capire il trasporto di calore e di sostanze biologiche). È come se analizzassimo le 'strade' marine. Dopo che l'oceanografo ha studiato e capito delle cose, allora si dedica alla scrittura di articoli scientifici, che vengono mandati a riviste di settore. E poi c'è anche la parte sul campo: si va su navi oceanografiche per raccogliere dati in posti specifici e magari si sta in mare anche per diversi giorni. Oppure, se c'è uno strumento che si rompe, si va sul posto per ripararlo. È un lavoro che ti fa viaggiare: oggi si fa molto telematicamente, ma non tutto. Nonostante io sia in pensione da tre anni, ho ancora collaborazioni con l'università di Miami. Questo è un lavoro bellissimo, che non smetterò mai di amare.
Penso sia un mestiere particolarmente legato a fondi, per finanziare progetti di ricerca specifici
Esatto. Tutto il mondo scientifico ha bisogno di fondi: per fare scienza servono finanziamenti. Per cui una parte grossa del lavoro è anche quella di scrivere progetti, per trovare fondi per la ricerca e per stipendiare le persone. Oggi i giovani entrano in questo mondo a tempo determinato; c'è un grosso problema di ricambio generazionale. È un quadro molto complesso, non basta più essere molto appassionati.
Un consiglio ai giovani che cercano se stessi, in un mondo sempre più complesso?
Bella domanda. Una volta avrei consigliato di andare all'estero e poi di ritornare con nuove esperienze. Oggi questo non è molto vero, perché l'estero ha comunque dei problemi e il rientro è difficile. Il mondo del lavoro è senza sicurezze per i giovani. Se si vuole fare ciò che si ama bisogna essere bravi, lavorare sodo, ma anche avere pazienza, che è bruttissimo da dire, ma è la verità. Non c'è un percorso facile, devi veramente crederci. E penso che questo non sia giusto.
I momenti più belli della tua carriera?
All'università di Miami, primi anni Duemila, ho partecipato a un meeting internazionale sugli effetti delle correnti. Ricordo un grande scambio di idee: in quell'occasione erano venute fuori metodologie nuove. Quegli incontri per me sono stati tra i più belli. E poi, una delle prime esperienze fatte, negli anni Ottanta. Eravamo in mare, si stava facendo un esperimento vicino allo Stretto di Messina: stavamo misurando la temperatura dentro una colonna d'acqua. Attraverso queste misure si vedeva il fatto che da lì passavano onde interne, un fenomeno speciale che in gergo si chiama solitone. Non erano mai state misurate e per noi erano eccezionali: per farti capire, si era discusso dell'esistenza o meno del solitone e con quelle misure eravamo convinti di aver visto effettivamente un solitone in mare. Ne avevamo le prove! Non dormivamo la notte, l'entusiasmo era a mille. Sono ricordi indelebili.
E il momento più difficile?
È legato alle cose burocratiche, alle difficoltà nel trovare fondi e al non avere i finanziamenti necessari per mantenere le persone. Dover mandare via dipendenti validi, in gamba, perché non c'erano abbastanza fondi è stato terribile.
Ti sei mai sentita discriminata nel tuo ambiente, perché donna?
Quando ero giovane era effettivamente un ambiente maschile il mio, ma non ho mai avuto grossi problemi legati al fatto di essere donna. All'università di Miami fecero però una statistica su come fossero gli stipendi degli uomini e delle donne professori universitari e quelli femminili erano molto più bassi. Avevo ricevuto un aumento senza chiederlo, perché prendevo molto meno dei miei colleghi. C'era comunque una discriminazione numerica e di stipendio, ma nel tempo questo gap è diminuito molto.
Soffitto di cristallo: tra perbenismo e realismo, oltre la segregazione personale autoindotta
La Treccani definisce "soffitto di cristallo" "quell'insieme di barriere sociali, culturali e psicologiche che si frappone come un ostacolo insormontabile, ma all'apparenza invisibile, al conseguimento della parità dei diritti e alla concreta possibilità di fare carriera nel campo del lavoro per categorie storicamente soggette a discriminazioni".
Annalisa parla di questo mentre risponde alla mia ultima domanda. Quel soffitto di cristallo io lo applicherei anche a tante altre situazioni: per esempio alle paure che ci sembrano insormontabili e che spesso non ci fanno andare oltre, con la vista e con il pensiero, alla nostra zona di comfort. Soffitto di cristallo fatto anche da tutti quei pregiudizi che ci penalizzano e non ci fanno espandere mentalmente.
Sfondiamolo, tutti insieme, questo soffitto di cristallo. Per un mondo migliore, direbbero i perbenisti. Io direi per un versione migliore di ognuno di noi, che vada al di là della segregazione personale autoindotta che spesso mettiamo in pratica contro noi stessi.