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Copertina | 08 febbraio 2025, 00:00

Storie di Orgoglio Astigiano. E se un viaggio in Africa mettesse tutto in discussione?

Foto di Elisabetta Testa

Foto di Elisabetta Testa

Per accompagnarti nella lettura di questa intervista ti consiglio la canzone Enjoy, di Jux, Diamond Platnumz, contenuta nella playlist "Orgoglio Astigiano" su Spotify

Occhi malinconici, corpicini esili. 

A piedi scalzi nella fanghiglia di un paese che sommessamente grida aiuto. 

Cos'è stata, per me, l'Africa? Proiettile di cristallo, il sorriso di chi ha perso tutto. O che, forse, non l'ha mai avuto questo tutto di cui ci riempiamo la bocca noi occidentali. E che, eppure, trova ancora una ragione per essere gentile con la vita. Che lì è matrigna. 

Nell'Africa vera ci sono eserciti di bambini cresciuti troppo in fretta, che cercano affetto. C'è chi lo ha perso e chi, invece, non lo hai mai ricevuto, eppure ne sente la mancanza. In Africa mi sono chiesta come sia possibile avvertire nostalgia di una cosa che non hai mai avuto. 

Lì, su quella terra rossa, le notti si distendono una sull'altra. La Tanzania mi ha accolta per 17 giorni. Mi sono riempita lo sguardo di truce bellezza, di colori indescrivibili, di odori insoliti, di storie disumane. L'Africa, togliendomi ogni comodità, mi ha dato tutto, obbligandomi a metterlo in discussione. 

Come faccio, ora che ho visto, sentito, toccato, respirato quel mondo, a pieni polmoni, a fare finta di niente? A condurre le mie giornate come facevo prima? L'Africa, se sei davvero pronto ad accoglierla, è un viaggio nel viaggio, alla scoperta della te più profonda. Ti immergi, al di sopra di infinite fini, fino alle radici della vita. Abbandoni ogni sovrastruttura, blocchi ogni filtro. Ti allontani dalla tossicità dei ritmi di una società che si professa sviluppata, che dice di investire nel progresso ma che, in realtà, è talmente avanti da tornare indietro. L'Africa, senza dubbio, è un mondo altro, in cui, però, la vita sembra pesare meno, nonostante tutte le difficoltà. Lì chi vive lo fa davvero, senza perdersi a fare le prove generali. 

E tu? Sì, tu che mi stai leggendo. Ti sei mai chiesto se stai vivendo o se, invece, stai solo facendo le prove, senza mai andare in scena? 

Sai quella cosa del tipo non ci dormo, non ci mangio, tocco le stelle, sto per fare goal alla finale della coppa del mondo? Ecco, io in Africa mi sono sentita esattamente così. Ho toccato le stelle, mentre stavo sdraiata nelle stalle. 

In Africa ho imparato a vivere. A vivere davvero. L'Africa mi ha insegnato ad andare in scena e a farlo senza scenografia. Non c'è bisogno di nulla. Di quel vestito alla moda, dell'ultimo modello di quel telefono, di un like in più a quella foto, di quella rabbia che sale quando il semaforo diventa rosso. Non serve andare di fretta, non occorre performare come automi. In Africa ho capito che, per essere liberi, serve coraggio. Il coraggio di identificare le vere priorità, di assumersi le proprie responsabilità e di scegliere di conseguenza. In Africa ho scelto di scegliere. Scegliere di rifiorire. 

Quando sono andata a trovare Marco Pugliese, astigiano che a Zanzibar ha fondato una scuola per bimbi disabili, il mio cuore si è spezzato. 

L'associazione si chiama ZanzibarHelp, l'avevo raccontata nel primo libro di Orgoglio Astigiano. Vedere personalmente ciò di cui avevo scritto è stato incredibile. Davanti a me 76 bambini con le forme più varie di disabilità, sia fisiche che intellettive. Spastici, down, sordi, autistici. C'è un microcosmo all'interno dell'ecosistema di Zanzibar, un'isola meravigliosa, che rischia di essere falsificata dal turismo e dalle sue insopportabili apparenze. Abbracciare Marco è un'emozione unica. Con lui vengono a stringermi tanti bimbi, attratti da ciò che consegno al 'padrone' di casa: libri e una pergamena. A fine gennaio sono poi arrivati altri 15 piccoli. 

Il più grande, lì, ha 28 anni, ma di corporatura è come un bimbo di 12, perché affetto da nanismo. Sua sorella ne ha 11, ma è come se ne avesse appena 4. Il bimbo più piccolo, invece, ne ha 5. Mi faccio spiegare meglio da Marco che, nel frattempo, mi fa fare un giro della scuola. 

"Arrivano dalla città alla punta del nord dell’isola, da tanti villaggi. Noi tutte le mattine andiamo a prenderli con lo scuolabus, anche davanti a casa. Stanno con noi dalle 8 alle 13, poi li riportiamo. Da quando ci avevi intervistato, abbiamo creato 4 nuove aule, grazie alla solidarietà di molti.  Adesso dobbiamo costruire dei laboratori: il prossimo è quello di cucina, poi ci dedicheremo alla sartoria, alla biblioteca e alla sala di danza e musica. E poi pensiamo di costruire almeno due casette in legno per accogliere i volontari, tra medici, infermieri e professionisti. Vogliamo costruire una piccola clinica osteopatica e fisioterapica, in cui ci sia anche spazio per la terapia mentale". 

Marco mi racconta che in un anno transitano da ZanzibarHelp tra le 70 e le 100 persone volontarie, di cui il 95% è rappresentato da medici specialisti. Ho la fortuna di fermarmi a parlare anche con loro: arrivano da tutte le zone d'Italia, stanno una decina di giorni e poi danno il cambio ad altri colleghi. E via via discorrendo, in un loop, un andirivieni di solidarietà. Tra insegnanti, giardinieri e agricoltori, invece, ci sono 14 persone salariate. 

ZanzibarHelp vive di donazioni e tutto quello che è stato costruito e sarà costruito sta in piedi grazie alla solidarietà. 

Dal 2021 ad oggi sono morti 5 bambini. Due nel solo 2023. Bibi aveva 14 anni, era down bipolare, con un importante ritardo mentale. Bibi è morta sulla strada, investita da un camion. Yusuf è morto a 26 anni, vinto dalla malaria. Marco mi dice che era uno studente fantastico. Le lacrime, intanto, scendono copiose dai miei occhi. 

L'Africa mi ricorda che il dolore è parte della vita ed è soprattutto grazie alla sofferenza che siamo in grado di percepire la gioia. Come Issa, 17enne spastico che prova a correre e persino a giocare a pallone, contrariamente a ogni pronostico medico. "Issa è la scuola, è il nostro pilastro, il punto di riferimento, per tutti i bambini e per noi adulti".

Con i bambini e gli agricoltori dell'isola, gli insegnanti coltivano prodotti italiani d'eccellenza, tra cui i peperoni quadrati di Motta di Costigliole d'Asti, ma anche la verdura del Triveneto e i pomodori San Marzano, poi messi in vendita ai mercati e ristoranti. 

So che tutto ciò che sto vedendo è partito da una promessa: quella fatta a Graziella, moglie di Marco, con cui condivideva gli ideali di aiuto e di solidarietà, soprattutto in favore della popolazione di Zanzibar. Graziella è morta nel 2018 per un brutto male. Ed è così che è nato il progetto della "Donnino's Family School". Tutto questo è nato per lei. Chiedo a Marco se ha mai preso in considerazione l'idea di tornare a vivere in Italia. "Elisabetta, non tornerei mai più indietro. Ora ho di nuovo la mia famiglia. Loro sono la mia famiglia. Questa è casa. Non c’è più altra casa". 

Vado in cortile. C'è lezione. I loro colori sono ancor più belli in quelle divise chiare. C'è chi mi prende per la maglia alla ricerca di attenzioni, chi mi guarda perso e sperso, chi mi avvolge in un caldo abbraccio e chi ancora mi prende la mano e mi invita a ballare. In Africa ogni secondo diventa il momento perfetto per festeggiare: con un sorriso senza denti, un canto senza musica, una danza senza scarpe. 

Senza niente, eppure con tutto. È questo il grande paradosso dell'Africa, che ti fa mettere in discussione ogni apparente certezza. 

Africa, mi hai devastata. Con i tuoi spigoli di verace umanità, mi hai toccata e perforata, lasciandomi un segno indelebile. 

Africa, sei stata fine e inizio. 

Africa, credevo che il mio cuore se ne fosse andato. 

Grazie a te è tornato a battere. 

Elisabetta Testa

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