Un Occhio sul Mondo - 01 febbraio 2025, 09:00

'Il Congo brucia perché a Trump ora interessa l'Africa'

Il punto di vista di Marcello Bellacicco

Circa 30 anni di conflitto, più o meno aperto, circa 6 milioni di morti, dichiarati dalle Nazioni Unite, circa una decina di Gruppi armati coinvolti e due Nazioni, il Rwanda e la Repubblica Democratica del Congo (già Zaire), che si fronteggiano sanguinosamente, nel pressoché totale disinteresse della Comunità Internazionale.

E ora sono tornati i combattimenti, con protagonista l'M23, un movimento armato contraddistinto da un acronimo anonimo, come anonime sono le centinaia di morti e le migliaia di sfollati che ha provocato in questi giorni ma che, probabilmente, non riusciranno a risvegliare le coscienze di chi conta nel mondo.

Ma perché il Congo, perlomeno momentaneamente, è tornato a far parlare di sé? Le ragioni risalgono al 1994, manco a dirlo, anno buono per un genocidio, quello rwandese, che attrasse le attenzioni internazionali, non solo per le 940.000 persone uccise, ma soprattutto per le modalità con cui l'etnia dominante Hutu massacrò quella Tutsi: prevalentemente a colpi di machete.

Allorché venne ripreso il controllo della situazione da parte del Leader Tutsi Paul Kagame, per timore delle probabili ritorsioni, circa 2 milioni di Hutu si riversarono nella regione orientale del Congo. Tra loro anche i militari dell'Esercito Hutu e i guerriglieri del Gruppo paramilitare Hinterahamwe, che aveva grandi responsabilità dell'eccidio dei Tutsi.

Questi militari diedero vita nel 2000 ad un nuovo Gruppo armato, le Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (FDLR) che costituì, a ridosso del confine, una continua minaccia per il nuovo governo rwandese di Kagame, ma gli diede anche il pretesto per mantenere un regime ferreo di controllo sulla Nazione, che governa ormai da quattro mandati elettorali, a partire dal 1994.

Bisogna ammettere che, sotto la sua direzione, il Rwanda, infinitamente più piccolo del Congo e con risorse decisamente inferiori, ha progressivamente acquisito sempre maggiore stabilità sociale e, soprattutto, economica, conseguendo nel 2024 un tasso di crescita dell'8,3% ed una previsione per quest'anno almeno del 7%, con la fiducia del Fondo Monetario Internazionale che elargisce prestiti.

Dall'altra parte c'é una gigantesca (quasi 8 volte l'Italia) Repubblica Democratica del Congo quasi costantemente allo sbando, sotto tutti gli aspetti, politico, sociale ed economico, attanagliata da una corruzione sistemica che non risparmia alcun settore e assolutamente incapace di sfruttare le immense risorse minerarie del suo territorio, che potrebbero invece costituire la salvezza di una popolazione endemicamente in povertà e afflitta da periodiche epidemie.

In un simile contesto, risulta pragmaticamente comprensibile (non giustificabile) che il Rwanda, in continua ascesa, possa aspirare al possesso di almeno parte di tali risorse che, quasi sicuramente, riuscirebbe a sfruttare meglio di quanto non stia facendo il Congo.

E questa è una delle motivazioni che vengono indicate dagli analisti per quanto sta accadendo in questi giorni, nella regione nord orientale congolese ad opera del Gruppo M23, che viene unanimemente riconosciuto come filo-ruandese.

Pertanto, è indispensabile una breve analisi della situazione sotto questo importante punto di vista, che non fa che acuire le tensioni che ormai da più di 30 anni ci sono tra Kinshasa e Kigali.

Prima dell'avvento alla Casa Bianca di Barack Obama e poi di Donald Trump, le risorse minerarie congolesi, soprattutto quelle di cobalto, erano sotto il controllo di aziende USA tramite concessioni che, con l'arrivo dei citati Presidenti, sono state passate a società cinesi che, attualmente, hanno ormai il controllo di tutti i siti di estrazione di cobalto, uranio, oro, coltan e rame.

Rendendosi conto dell'inopportunità di questa egemonia cinese, l'Amministrazione Biden ha tentato di rientrare in gioco nell'area, soprattutto ricercando il discredito dell'operato di Pechino, ricorrendo anche ad accuse di sfruttamento del lavoro minorile e di altre procedure illegali nei siti controllati dai Cinesi. Tentativi che non hanno sortito effetti, anche perchè condotti su un piano, quello dei diritti umani, non proprio in grado di intaccare i propositi della Cina e tanto meno di preoccupare una governo corrotto come quello congolese.

Per quanto riguarda invece il Gruppo M23, dopo alcuni anni di stasi, già a partire dal 2021 ha condotto attività per acquisire il controllo di aree della Repubblica Democratica del Congo, riuscendo a conquistare ampie zone della provincia del Nord Kivu, a ridosso del confine con il Rwanda che, secondo il governo di Kinshasa e dell’Onu, aveva appoggiato finanziariamente e logisticamente i ribelli. Questo parziale successo era stato conseguito nonostante l'Esercito congolese fosse stato ampiamente supportato dai Cinesi, con armamenti, equipaggiamenti e consiglieri militari.

Tuttavia, le operazioni del gruppo filo-ruandese si erano poi flemmatizzate, fino a pochi giorni fa, allorché sono riprese con grande veemenza e nuovo slancio, portando l'M23 a conseguire una serie di successi contro i militari governativi, a conquistare l'importante città di Goma e a minacciare il proseguimento dell'avanzata verso la Capitale congolese.

Ma a cosa si deve questa rinnovata iniziativa militare, palesemente orientata a sovvertire l'attuale leadership congolese?

Molti analisti legano gli eventi all'insediamento di D. Trump alla Casa Bianca e al suo nuovo approccio verso l'Africa. Infatti, durante il suo primo mandato, in 4 anni non aveva mai fatto una visita ufficiale ad alcun Stato africano, anche perchè aveva espresso chiaramente il suo punto di vista verso il cosiddetto Global South (Area meridionale del mondo appellata anche Terzo Mondo), definendolo con toni sprezzanti “shithole”.

Ora invece, autorevoli fonti vicine al Tycoon hanno garantito un suo nuovo impegno, sia in termini di contenimento dell'espansione cinese nel Continente africano sia per cercare dii accedere alle sue materie prime, così importanti per l'industria americana.

Le milizie dell'M23 potrebbero essere una pedina fondamentale di questa scacchiera nelle mani della leadership USA. Infatti, è sostanzialmente certo che sono legate al Rwanda che, ufficialmente, le considera come proprio strumento di tutela della minoranza Tutsi presente in Congo. Ma è anche vero che il Presidente ruandese Paul Kagame è in stretto contatto personale con D. Trump che, come detto, è determinato a contrastare i Cinesi in Africa. E la Repubblica Democratica del Congo ne è piena.

Intanto, alcune Nazioni africane cercano di mediare tra Kinshasa e Kigali, ma quest'ultima sembra essere sorda ad ogni sollecitazione, probabilmente perché conscia che la Comunità Internazionale, che è “in altre faccende affacendata”, non ha ulteriori risorse per rinforzare la Missione ONU di Caschi blu già presente in Congo ma che, come quasi sempre accade, non ha né forza né legittimità per intervenire.

Ovviamente, in merito ai combattimenti in corso, il neo nominato Segretario di Stato USA Marco Rubio ha ufficialmente manifestato la sua preoccupazione, auspicando presso Kagame un rapido cessate il fuoco. Ma queste sono dichiarazioni praticamente d'obbligo per l'unica Superpotenza mondiale la quale però, come risaputo, non si pone particolari problemi ad utilizzare procedure meno ortodosse per conseguire i suoi obiettivi.

Se poi si pensa che Trump, in nome degli interessi nazionali, non ha avuto remore ad esternare le sue mire espansionistiche verso la Groenlandia e Panama, non ci sarebbe proprio da stupirsi che l'azione di Kagame e dell'M 23 abbia avuto la sua garanzia di impunità se non addirittura la sua benedizione.

Marcello Bellacicco