Sono passati trent'anni, un arco di tempo lungo, dove i cambiamenti sono infiniti, in cui una persona passa attraverso infanzia, adolescenza, età adulta.
Oggi si riflette sui trent'anni dalla tragica alluvione che, nella notte tra il 5 e il 6 novembre 1994, colpì e devastò il Piemonte, comprese Asti e la provincia, lasciando una scia di morte, danni, fango, puzza.
"I giorni del fango" non sono solo reportage, articoli, servizi televisivi andati in onda per giorni ma, nella mente di chi ha vissuto la tragedia sono sempre vividi e, raccontare, ancora oggi, fa male.
Tanto è stato fatto, ma l'emergenza climatica gravissima che stiamo attraversando (e che abbiamo creato), ogni giorno ci porta immagini e tragedie. L'ultima a Valencia dove i morti sono centinaia. Cosa ci insegnano o cosa vogliono dirci tutte queste tragedie dovute alla furia del maltempo?
La storia e i ricordi
A inizio novembre 1994 pioveva ormai da qualche giorno, soprattutto nella zona tra Liguria e Piemonte, per estendersi dal 5, a Cuneese e Astigiano. In diverse località nei bacini del Tanaro, del Bormida del Belbo sono state superate altezze di 200 mm di pioggia in 24 ore e, dopo alcuni giorni di piogge continue il Tanaro crebbe a livelli spaventosi. Un'onda di piena si formò il giorno 5 novembre a monte di Ormea e, correndo verso valle, devastò con una furia spaventosa tutto il suo corso e le decine di centri abitati lungo le sue sponde.
Sul nostro territorio i più colpiti Asti, Canelli (dove ci furono tre morti), Incisa, Castello D'Annone, Cerro Tanaro e Rocchetta Tanaro.
La cronaca è nota, ma abbiamo voluto raccogliere qualche ricordo e testimonianza di chi, nel fango ci è finito e ha saputo rimboccarsi le maniche e far fronte al fatto di aver perso tutto.
Chicco Rissone ci ha mandato il video girato da lui e, nelle immagini sul canale Youtube di Astigiani, anche qualche servizio dell'epoca.
"Il Tanaro era parte integrante della nostra vita"
A raccontare la sua storia, spezzando il racconto tra commozione e dolore, è la collega giornalista Manuela Macario. Viveva in via Lungotanaro, vicino al Gener Neuv (che fece andare via i clienti appena prima della piena) e il Moro. La sua famiglia continua a vivere sul fiume, dopo aver ricostruito praticamente tutto.
Una Manuela diciassettenne, giovanissima quindi, ma con già il piglio della donna adulta che racconta e si commuove più volte, perché nella vita una tale improvvisa furia non te la puoi aspettare.
Lei, quella sera è fuori con delle amiche ma è rientrata presto. Quella pioggia incessante la preoccupava. Il padre, campione di bocce, era in Veneto per una partita ma riesce a rientrare in serata. La villetta è a due piani. A piano terra loro, al primo piano gli zii con i figli e i nonni.
"Il Tanaro era alto, ma abitando sul fiume, era parte integrante della nostra vita. Ci siamo ritrovati io, mio papà e mia mamma a guardare la televisione, ad ascoltare le notizie e vedevamo che già nella zona di Ceva, nel Cuneese era già esondato. Nel frattempo sul ponte di Corso Savona c'erano le forze dell'ordine, il sindaco (Alberto Bianchino ndr), le autorità locali, c'era un po' di mobilitazione e soprattutto tantissimi curiosi, tantissima gente che andava a vedere il Tanaro che continuava a crescere. A un certo punto c'erano macchine dappertutto anche davanti al nostro cancello, avessimo voluto scappare o comunque avessimo dovuto evacuare, non avremmo potuto farlo perché c'era troppa gente, troppe macchine".
Il racconto si interrompe una prima volta, per le lacrime, ricordando quei momenti in cui si vedeva il Tanaro crescere, ma nessuno diceva loro nulla. Nessuno era preparato a una violenza simile, anche se i nonni di Manuela ricordavano una precedente alluvione in cui il Tanaro era entrato (solo di qualche centimetro) in casa.
"A quel punto - racconta- abbiamo tolto la corrente, raccolto i tappeti, alzato da terra le cose che eventualmente potevano andare a bagno e siamo saliti al primo piano e lì c'erano mio nonno e mia nonna, mia zia invece con i figli e il marito, non c'erano".
È già quasi notte e l'acqua arriva in cortile e man mano sale. La paura congela.
"In pochissimo tempo il piano terra era completamente allagato, completamente, fino al soffitto e dalle scale vedevamo l'acqua, quindi noi non saremmo più potuti scendere. Il problema è che il livello continuava a salire ed eravamo io, mio papà, mia mamma, mio nonno e mia nonna. La casa non ha una mansarda, ha il classico solaio e si accede a questo solo attraverso una sorta di botola. La scala ovviamente era a bagno, quindi le uniche cose che avevamo erano tavoli, sedie e un frigorifero".
Impossibile non immaginare la disperazione di questa famiglia con due anziani da salvare. "A quel punto abbiamo appoggiato il tavolo al frigo e messo vicino una sedia e con delle lenzuola, abbiamo letteralmente legato prima la nonna e poi il nonno e li abbiamo aiutati a infilarsi nella botola (60x80) e a salire in soffitta".
I telefoni (fissi), non funzionavano, ma una linea che lo zio usava per lavoro, fortunatamente sì. Questo permette alla famiglia di continuare a parlare con lo zio lontano che non vivendo il momento devastante, riesce a dare qualche lucida indicazione. "È stato lui a suggerirci di legare i nonni e di portarci una pila, acqua, zucchero e candele in solaio. Abbiamo anche chiuso la botola con teli e mattoni, per il terrore che l'acqua salisse ancora".
"Eravamo completamente isolati e le ore sono passate; sentivamo gli elicotteri fuori, sentivamo dei rumori fortissimi, in realtà non pensavamo a quello che poteva succedere perché la forza dell'acqua era tremenda e la casa avrebbe anche potuto cedere. L'unica via di comunicazione con l'esterno del solaio oltre alla botola era un piccolo lucernaio ma non saremmo mai potuti uscire di lì, però per dare segni che eravamo in casa, abbiamo appoggiato la pila su questo piccolo lucernaio sperando che qualcuno avrebbe visto".
Le ore sono passate, la famiglia è in soffitta e, nell'aria un fortissimo odore di cherosene. L'acqua si è fermata "solo" al primo piano e a quel punto Manuela e la famiglia tenta la discesa. Lega di nuovo i nonni, il papà scende per primo.
"La prima cosa che abbiamo fatto è stato guardare fuori dalla finestra, era come se fossimo su una nave nel senso che tutto intorno c'era c'era acqua, acqua del color caffè latte, un'acqua densa che scorreva anche veloce e poi abbiamo capito i forti rumori che sentivamo, la furia dell'acqua aveva sradicato il portone d'ingresso di casa nostra e da lì, vedevamo galleggiare pezzi di mobili, quadri. Non avevamo più nulla, nè mutande, nè il mio apparecchio per i denti, nè l'album dei ricordi. Nulla. In camera dei miei l'armadio era crollato sul letto".
L'armadio crollato sul letto, immerso nell'acqua
Verso le 9 del mattino, l'acqua inizia a defluire e arriva l'ambulanza. I soccorritori hanno l'acqua al bacino ma caricano i nonni. "Avevo solo la borsetta e io e mamma l'abbiamo tenuta sopra la testa. Con l'acqua al bacino siamo riuscite a uscire di casa e abbiamo raggiunto la via limitrofa, c'erano i soccorsi che ci hanno portato al don Bosco dove ci hanno dato generi di conforto e vestiti. Salvi, ma senza più niente. Papà era appoggiato a un flipper ed è stata la prima volta che l'ho visto piangere".
La porta di ingresso divelta dalla furia dell'acqua
Una famiglia che ha perso la casa e anche la tabaccheria in corso Savona. Il resto dei ricordi è lo spalare fango e la solidarietà di tanta gente. "Ci hanno dato casa, vestiti, aiuti. Si sono fatte vive tante persone - ricorda tra le lacrime - anche sconosciuti ci hanno aiutato, gli alpini, compagne di scuola". Un anno dopo la famiglia è tornata a casa. Ora le foto dell'epoca sono incorniciate per non dimenticare.
A "bagno" anche lo studio dei Farinei d'la brigna a Isola
"Cosa vuoi che ti dica? Io ogni 30 anni mi devo prendere un po' d'acqua", racconta l'attore astigiano Fabrizio Rizzolo che nei giorni scorsi è stato tra i protagonisti di una brutta avventura a Cairo Montenotte (QUI l'articolo)
"L'alluvione del 94, è stata una cosa abbastanza scioccante perché noi non avevamo idea proprio di cosa stesse succedendo; ho visto arrivare acqua in cantina che arrivava dal giardino di casa e non pensavo che potesse essere un'alluvione. Nessuno aveva avvisato di nulla. L'acqua cresceva ed è arrivato Linus per aiutarmi a portarla via con l'idrovora. Poi è arrivata tutta di colpo e a quel punto non abbiamo avuto alternativa che salire al piano di sopra, mentre lo studio che è al piano di sotto, anzi è tipo 40 centimetri sotto il cortile, è stato sommerso. L'acqua è arrivata a circa 90 centimetri e quindi ha coperto tutte le attrezzature, le chitarre, è arrivato al mixer, ha sommerso tutti i cd, tutte le tastiere... ".
Una vita di suoni, passione e amore, completamente sommersa.
"Dopo un giorno l'acqua si è riturata lasciando un mare di fango. Ho i ricordi appannati, vedo i soccorritori, ma soprattutto ricordo che, entrando in quello che ormai 'era' lo studio, sentivo i cd scricchiolare sotto i piedi. Ho perso tante cose ma ricordo gli aiuti, la vicinanza. Una settimana bloccati dove però eravamo tutti insieme, con la famiglia, è stata un'occasione per vivere un dramma comunque prendendo sempre qualcosa che la vita ti può insegnare".
Ricorda anche l'alluvione vissuta nei giorni scorsi a Cairo e la voglia di ripartire: "Sono stato fortunato perché ho preso la macchina e sono riuscito ad arrivare a casa; abbiamo scoperto dopo, durante il viaggio quello che succedeva a Susi e agli altri, ma vedo che un po' tutti stiamo cercando di capire che cosa ci ha insegnato questa lezione e il fatto di ripartire. Nel 1994 avevamo il motto 'Ten dur', tieni duro, che era proprio anche una reazione a tutto quello che era successo, non mollare mai e adesso con Valjean vogliamo ripartire, vorremmo utilizzare questa cosa proprio per tenere duro, per ripartire in tour. Come la storia di Valjean di non morire, ma proprio anche grazie al fatto che invece tutto il cast è ancora vivo e vegeto e con la voglia di reagire, magari sarà la volta buona che se avremo anche un aiuto, un sostegno, potremo partire in tour, più forti di prima".
Ho visto "cavalloni" di fango
"Pioveva, quella sera, poi ho sentito i vicini di casa che erano in fermento e anche io incuriosita scendo in cantina dove l'acqua era alle ginocchia, non sapevo se fosse normale, ma sono andata a dormire, le bimbe dormivano da ore. Io ero stanca".
Anche Angela S. ci racconta la sua storia di alluvionata astigiana abitante vicino al Tanaro.
"Mi arriva una chiamata da mio fratello, che, dal terzo piano, mi invita a lasciare subito l'alloggio gli chiedo perché. Lui mi risponde di aprire la finestra. Ho visto i cavalloni, onde altissime di acqua e fango arrivare a tutta velocità detriti e mobili che galleggiavano trascinati via chissà da quale luogo, casa o cantina. Ero scioccata mai visto una cosa del genere in vita mia. Terrorizzata prendo le bimbe e tutti e 5 saliamo al terzo piano. Ovviamente poche ore dopo il mio appartamento era saturo di acqua e fango. È saltata la luce, il gas abbiamo perso tutto, ricordi beni e foto. C'erano anche persone sui tetti delle case che ci chiedevano aiuto. La notte più lunga e brutta della mia vita. L'indomani sono arrivati i vigili del fuoco con le barche per portare viveri cibo e tanto altro. Abbiamo perso tutto, ma eravamo vivi. La ripresa è stata dura, ci sono voluti anni".
Angela, che nel frattempo ha avuto altri, grandi dispiaceri, fa la cantante e ricorda che sabato 26 ottobre scorso era stata invitata a Pontecurone. "Ho chiamato la protezione civile di Alessandria e spiegato che dovevo passare tra Alessandria e Tortona. Mi hanno detto di stare a casa perché il Bormida era alto. Essere prudente mi ha salvato la vita".
La storia di Nadia
Federico è nato il 28 febbraio 1995 e Nadia, la sua mamma, quando arrivò la piena era incinta di sei mesi. Era sposata da due anni e viveva con il marito in via Scotti al piano terra. "Un condomino nella notte ci bussò alla porta per dirci che l'acqua era arrivata nei garage, In meno di mezz'ora era tutto allagato - ci spiega - l'acqua era colore del fango, un odore tremendo di combustibile, vedevamo passare le auto trascinate dalla corrente. I cani guaivano, poi non si sentivano più. Chissà, forse erano legati in qualche cortile".
Un racconto che rende chiara l'assoluta disperazione di chi aspetta l'indomani per fare nuovi progetti e si trova senza più nulla nell'arco di pochi minuti.
"I condomini dei piani superiori ospitarono quelli dei piani bassi, trascorremmo tutta la notte sul balcone a vedere uno spettacolo a cui mai avremmo voluto assistere", continua Nadia.
"La mattina seguente verso le 7 l' acqua iniziò a defluire alla stessa velocità con cui era arrivata e se ne andò, lasciando la devastazione, c'era solo fango. Ci siamo ritrovati senza nulla, gli appartamenti erano solo contenitori d' acqua e fango. E' brutto non avere più niente, farsi prestare gli abiti perché ti è rimasto solo quello che avevi indosso la notte che hai abbandonato quello che era il tuo nido, brutto non avere più una casa, essere ospiti, seppur dei parenti, ma sempre ospiti".
"Siamo ospiti di questa terra"
Il pensiero di Nadia è rivolto anche al futuro del suo bambino e, dopo un po' di tempo, grazie alla zia, si trasferisce in un appartamento ammobiliato. "Ricordo la solidarietà di tutti e ancora ringrazio le persone che hanno lavato di tutto per me: dagli indumenti, alle stoviglie, alla biancheria, certo quella poca che si era salvata. Ero giovane, avevo 24 anni e ho ricostruito e ho ricomprato tutto ciò che il Tanaro mi aveva portato via, ma chi più mi ha colpito sono stati i miei vicini di casa due persone molto anziane di cui porterò sempre nella mia memoria e nel mio cuore i loro occhi, i loro sguardi del momento in cui hanno realizzato che tutto era andato perduto. Nella loro casa avevano i ricordi di una vita. Questa esperienza mi ha segnato ed insegnato molto. Mi ha insegnato che tutto si può ricostruire, ma che nulla può l' uomo contro la natura, siamo ospiti di questa terra e come ospiti dovremmo rispettarla, ma dato che l' uomo ha padroneggiato ora ne porta le conseguenze".