Sono passati trent’anni dall’alluvione che colpì Canelli nella notte tra il 5 e il 6 novembre 1994, una tragedia che ha segnato profondamente la città e chi l’ha vissuta. Tra questi c’è Pier Angelo Villare, vicecomandante commissario della Polizia municipale da poco in pensione, l’ultimo a rappresentare le istituzioni di Canelli in quella notte drammatica.
“Già dalle prime ore del pomeriggio c'erano alcune zone dove usciva acqua dai tombini. Il sindaco Oscar Bielli ha avuto l'idea veramente geniale di far evacuare la casa di riposo, perché è una zona molto bassa e da Asti si presagiva che potesse succedere qualcosa - racconta Villare - Io sono arrivato nel pomeriggio, ho visto un via vai di ambulanze e il Belbo era altissimo. Il mio collega Negro, che era lì dal mattino, è andato a casa alle 17, e ci siamo trovati io, che avevo dodici anni di servizio, e la mia collega Rossella Ciliberto che c’era da soli venti giorni”.
Villare e la sua collega si trovarono isolati, sorvegliando una città in preda all’incertezza. Ogni ora, un dovere ineludibile: contattare la prefettura per riportare l'andamento di una situazione che cambiava continuamente. “Rossella al telefono, io in mezzo alla piazza dove c'era il semaforo. Bielli, verso le 19, è andato a casa, e io sono rimasto l'unica persona delle istituzioni di Canelli insieme a Rossella in ufficio. Poi, nel tardo pomeriggio, verso la serata, sono arrivati di nuovo Negro e Musso, però nel momento della grande catastrofe c’ero io. Ho iniziato a vedere l’acqua uscire dai tombini. La situazione era grave, per cui chiamavamo la prefettura ogni 10-15 minuti”.
Alle 20:30, la tragedia si consumò. Il torrente Belbo straripò, portando con sé un’ondata devastante di acqua e fango. Villare, sempre più allarmato, iniziò a contattare invano la prefettura. “L’acqua era già alta, infatti non sono riuscito ad arrivare in fondo a viale Indipendenza. Nell'ultima mezz'ora ho sollecitato più volte la prefettura. Qualche giorno dopo è arrivata la Digos a prendere i tabulati delle nostre telefonate e le ultime erano molto vicine. Allora non c'era la Protezione Civile. Per cui io ero l'ultima persona delle istituzioni a rappresentare Canelli e a prendere decisioni”.
Villare salì sulla macchina di servizio e si mise in moto per la città, avvisando i cittadini di allontanarsi. La situazione si faceva ogni istante più drammatica. “Arrivai quasi verso le Poste e vidi una prima onda alta, non so, mezzo metro. Alzando gli occhi, ho visto un'ombra nera di due metri e mezzo. Quella era proprio l'onda che sfondò l'argine e che si portò via la strada da Rocchetta a Cossano, non c'era più la strada”.
Con l’onda in avvicinamento, attivò la sirena e urlò nell’altoparlante della macchina: “Ho detto ‘Scappate, scappate, scappate, scappate tutti, scappate tutti!’ Ho cercato di urlare proprio su quest'autoparlante… E quest'onda mi stava raggiungendo… Io sono arrivato in Comune, dopodiché è saltata la luce, è saltato tutto, gli interruttori non funzionavano più”.
La mattina seguente, Canelli era irriconoscibile, immersa nella devastazione. “Persone che fino al giorno prima erano amiche si ritrovavano a litigare per gli autospurghi. Il fango conteneva di tutto, persino gasolio dalle cisterne, e dovevamo rimuoverlo in fretta perché tossico. A volte intervenivamo per riportare la calma. I soccorsi sono arrivati domenica pomeriggio, ma perfino un mezzo anfibio, a causa del fango, non riusciva a muoversi bene”.
Questa situazione complicava molto il controllo dei beni privati. “Alcuni approfittavano del caos. Ricordo di aver arrestato un ladro che rubava borse in un negozio devastato. Senza una macchina della polizia, l’ho caricato sul cassone di un’Ape e l’ho portato dai carabinieri, ma la caserma era completamente distrutta”.
Quella notte, Villare fu l’ultimo a vedere Canelli prima dell'inondazione e il primo a rivederla, avvolta nel fango e nella distruzione. Grazie al suo intervento, Pier Angelo Villare ha ricevuto, insieme ai colleghi presenti quella notte Marco Musso, Domenico Negro e Rosa “Rossella” Ciliberto, la medaglia tricolore della Croce Rossa, ma la sua più grande soddisfazione fu aver salvato delle vite, come quella del farmacista Bielli, che lo ringraziò pochi giorni dopo: “Mi disse, ‘Villare, le dobbiamo la vita.’ Si trovavano a giocare a carte in un circolo sotto il Bar Torino, ignari di tutto, e sentirono solo la mia voce urlare ‘Scappate!’ Siamo usciti di corsa, mi raccontò, e già l’acqua riempiva le scale. Quelle parole mi hanno dato una grande soddisfazione: sapere di aver salvato delle vite, in qualche modo, è stato significativo”.