Per accompagnarti nella lettura di questa intervista ti consiglio la canzone Holding back the years, di Simply Red, contenuta nella playlist "Orgoglio Astigiano" su Spotify
Amore al primo gusto. È successo un po' così con i vini de IParcellari. In un ristorante di Neive assaggio un calice di Chardonnay Parcella 146 e me ne innamoro. Lo staff mi racconta la filosofia sottesa a questo progetto. Sostanzialmente ogni etichetta è fatta con parcelle: come fosse il meglio del meglio di un determinato vigneto. Quell'esposizione, quel terreno, quella posizione, che danno vita a vini incredibili. Il paradosso? Fare vino senza avere vigne, ma appoggiarsi a proprietari, creando così una rete che ha dell'incredibile. Resto affascinata e mi appunto di andare a trovare Davide Canina e Monica Pedrotto il prima possibile.
Come e quando nasce questo progetto così innovativo?
L'idea nasce nel 2019, mentre lavoravo al Relais Sant'Uffizio. Ho sempre avuto il sogno di creare i miei vini, sfruttando le mie competenze da sommelier. Le prime vigne erano a Cioccaro di Penango, dove avevo affittato una casa. Abitando lì ho conosciuto il proprietario di casa e delle vigne. Gli ho chiesto se si potesse fare vino da queste vigne bellissime, che però non erano più in produzione da anni. Allora gli spiegai l'idea divenuta poi IParcellari, ovvero riuscire a fare vino con parcelle, come si usa in Borgogna. Un'idea all’avanguardia nel Monferrato, nata poi in collaborazione con i produttori di Govone e la Cantina Sociale di Portacomaro. Grazie a loro e alle famiglie coinvolte nel progetto abbiamo gli spazi e le materie per lavorare sui vini. Inizialmente volevo fare solo Barbera e Grignolino, poi però la produzione si è estesa.
Immagino ci sia uno studio importante dietro alla scelta del terreno e delle parcelle
Sì, esatto. L'agronomo Maurizio Gily, docente all’Università di Pollenzo, ci aiuta a tempo pieno nell'accurata selezione delle parcelle. Le varie vigne coinvolte nel progetto vengono invece seguite dai proprietari terrieri, a cui si affianca però la presenza dell'agronomo. Riteniamo che sia un bel mix, la tradizione tramandata da contadino in contadino che può unirsi con voci esperte e il filo rosso del rispetto del territorio in cui si opera. In questi anni si è creata un'ottima collaborazione tra produttori e cooperative.
Ci sono realtà come la vostra in Italia o possiamo pensare a un unicum?
Ci sono cantine che magari fanno un vino con una parcella, ma di un'azienda che faccia tutto in parcella, in Italia, non ne siamo a conoscenza. Speriamo di aver portato un’idea che possa essere ripresa, fatta proprio per valorizzare il territorio. In Borgogna usano questo sistema da anni. Sembrava fantascienza all'inizio: fare vino senza avere vigne, ma è proprio questo il nostro punto di forza. Così riusciamo a selezionare la parcella, quel vitigno con quel suolo, sottosuolo, con quella particolare esposizione. Come se fossimo una start up all'interno di un’università. Questo ci permette di sperimentare molto. Se invece sei proprietario di un terreno e basta, sei obbligato a basare la tua produzione su quello. Il terreno cambia molto il prodotto finale: la nostra prima Barbera, fatta a Cioccaro, è completamente diversa da quella di Montegrosso. Si avverte proprio, a olfatto e gusto, che si parla di terreni diversi.
Quante vite hai già cambiato, Davide?
A 49 anni posso dire di aver già vissuto tre vite. Inizialmente ero ingegnere elettronico, per un'azienda, occupandomi di ricerca e sviluppo. Lo sono stato dal 2002 al 2009, dopodiché mi sono licenziato. Ho sempre avuto la passione per il mondo del vino. Il clic mentale del cambio vita è avvenuto quando ho assaggiato i vini dai legni, l’esperienza immersiva che fanno abitualmente in Borgogna e che facciamo fare anche noi in cantina. Da quel momento mi si è aperto un mondo: il vino non era più solo bevanda, ma conteneva tutto. Famiglia, territorio, idee. Scelsi quindi di diventare sommelier e iniziai a lavorare nel mondo della ristorazione stellata, grazie all'incontro con lo chef Andrea Ribaldone, che ha creduto in me e mi ha invitato a fare il sommelier nel suo prestigioso ristorante ad Alessandria. Poi ho collaborato, sempre con lo chef Ribaldone, all'Osteria Arborina a La Morra e, infine, al Sant'Uffizio, con lo chef Enrico Bartolini, fino al 2021. In me continuava a crescere il sogno di poter realizzare, un giorno, il mio vino. Grazie all'esperienza nella ristorazione, ho potuto conoscere a fondo il vino e le sue caratteristiche. Ed eccomi qui: ingegnere, sommelier e ora, finalmente, produttore.
Monica, tu cosa facevi prima di condividere questo progetto con Davide? E che rapporto hai con l'Astigiano?
Prima lavoravo per un'azienda di Hong Kong, selezionavo vini e mi occupavo della logistica. Io e Davide siamo una coppia da sei anni. Ci ha uniti anche la passione in comune per il vino. Amo le Langhe, arrivo da lì, ma il Monferrato mi ha adottata. Abito a Costigliole dal 2000, ho passato i primi cinque anni in Monferrato a fare foto, direi costantemente. Quelle colline che non sono monovarietali come si pensa, con boschi e campi. Anche Davide non è nato ad Asti, ma a Biella. Abbiamo sempre ammirato la bellezza di questi territori, che spesso vedi nella meraviglia delle persone, nel loro sguardo. Siamo profondamente legati a questo territorio, tanto che le botti che usiamo sono quelle di Gamba di Castell’Alfero: è uno dei nostri modi per sostenere attivamente l'Astigiano e fare sinergia. In sintesi? Siamo orgogliosi di essere astigiani.
Da un punto di vista di valorizzazione, come vedete il territorio astigiano?
Secondo noi sta crescendo a livello di strutture ricettive, ma anche di conoscenza. Ci sono anche molti ragazzi giovani che lavorano bene e credono nel territorio. La Langa è più facilitata a lavorare sul discorso parcellare, mentre invece il Monferrato è più complesso. Bisognerebbe comunque slegarsi un po' dai preconcetti.
Cosa vuol dire per voi slegarsi dai preconcetti?
Cerchiamo di non andare avanti con i paraocchi. Ad esempio, non facciamo per principio solo lavorazioni in acciaio o in legno, ma siamo aperti e flessibili. Quest'anno, per dire, abbiamo tre Barbera, due in legno e una in acciaio. In generale questo è un concetto facilmente applicabile a ogni contesto. Pensiamo sia importante non essere soffocati da un'ideologia fissa.
Qualche numero dall'inizio di quest'avventura ad oggi?
Il primo anno abbiamo fatto novemila bottiglie e ci sembravano tantissime! Oggi siamo a quota ventottomila. Siamo inoltre presenti in più di trenta ristoranti stellati in Italia (tra cui Cracco a Milano). I nostri vini, però, si possono trovare anche in trattorie e agriturismi, in tutti i posti in cui possano essere apprezzati, sempre in nome di quell'apertura mentale di cui si parlava prima.
Siete conosciuti anche all'estero?
Abbiamo dato e diamo più spazio al territorio, però man mano stiamo uscendo. Cerchiamo partners affidabili. Siamo conosciuti in Olanda, Svezia e Costa Azzurra, per indicare qualche zona.
Bâtonnage: raschia il tuo fondo per darti più corpo
Davide e Monica mi fanno provare un'esperienza unica: l'assaggio del vino dalle botti, dai legni diversi. Ne sento i differenti aromi, al naso e alla bocca. Provo ammirazione e gratitudine. E poi Davide mi fa vedere cosa si intenda per bâtonnage. Per chi, come me, non è addetto ai lavori, consiste nel rimescolare il vino dentro la botte, con un'asta. Il movimento fa sì che si sollevino le fecce, prima silenti sul fondo. Questo processo è importante, oltre che per una questione tecnica e chimica che non sono in grado di spiegare, anche per dare corpo al vino. Osservo Davide con molta attenzione quando mi fa vedere cosa viene a galla attraverso questa pratica. Mi incanto pensando che sia anche una grande metafora della nostra esistenza. Per darci corpo, per evolvere, è necessario scavare un po' dal nostro fondo emotivo. Per far riemergere ciò che riteniamo sopito, ma che, alla fine, è fondamentale per ottenere un prodotto migliore. Una versione migliore di noi stessi.
Raccontarsi per ciò che si è. Quel che vedi è ciò che sono. Ti piace?
Un altro elemento che mi fa impazzire di voi è che vi raccontate per ciò che siete. Sia a parole con me che nelle etichette, vero?
Sì, raccontiamo ciò che siamo e ciò che facciamo, senza filtri o alterazioni. Nell'etichetta indichiamo la parcella, il nome delle uve (sempre 100%), giorno mese e anno di imbottigliamento, luogo e nome della famiglia proprietaria del terreno di riferimento. E le bottiglie sono anche tutte numerate. Questo perché riteniamo che il vino sia in primis famiglia ed è giusto dare voce alle tante famiglie che sono parte, con entusiasmo, di questo progetto. Siamo questi e continuiamo la nostra espansione. Al Vinitaly abbiamo lo stand più piccolo di tutti: siamo una piccola parcella in un mare magnum, ma siamo noi. Orgogliosi di aver portato avanti un bell'esempio di collaborazione tra privati e cooperative. Tanto che, a questo proposito, siamo stati chiamati a parlare anche all'evento "Stelle della Cooperazione", in Abruzzo.
Un vigneto, una parcella, un vino
"IParcellari" nasce dalla passione per i vini di Davide Canina, sommelier professionista piemontese, ancora prima che per la loro qualità, per il concetto di produzione radicato nella espressione di un vino attraverso il suo territorio.
Durante le sue visite in Italia e all'estero si è innamorato del legame profondo che le aziende hanno per la produzione Parcellare dei vini, ovvero per l'esasperazione della produzione dei vini nel territorio vitivinicolo attraverso i diversi lieux-dits o climat.
La Parcella (lieux-dits) rappresenta uno spazio definito e limitato all'interno di un appezzamento di terra registrato ufficialmente. Un' insieme di Parcelle può essere considerato un Parcellare (climat).
Nel 2019, insieme a Monica Pedrotto - compagna di vita e co-ideatrice del progetto, inizia l'avventura de IParcellari. Dall'incontro con Agostino Malvicino, in quel periodo direttore dei Produttori di Govone, si realizza l'idea di valorizzare al meglio i 300 ha dei soci attraverso una selezione parcellare dei migliori vigneti per produrre vini di altissima qualità del territorio piemontese sotto l'etichetta UNESCO, le Langhe, il Roero e il Monferrato. Il progetto nasce nel vigneto Bricco Pizzo, a Cioccaro di Penago- Asti, dove Davide ha svolto il ruolo di Responsabile Sommelier per la Locanda del Sant'Uffizio di Enrico Bartolini - decorato, all'epoca, con una stella Michelin; ora accompagnata dalla seconda- fino a gennaio 2021. Da qui tutto nasce: Davide e Agostino iniziano a guardare il mappale delle vigne e le sue Parcelle, analizzando terreni e cloni delle uve. Con la collaborazione e il lavoro meticoloso dell'enologo Claudio Dacasto, vengono individuate le Parcelle ideali per produrre vini in grado di valorizzare al meglio i terroir dei tre siti selezionati: Portacomaro, Montegrosso d'Asti e Govone.
Da qui il motto: "Un vigneto, una Parcella, un Vino".
All'inizio del 2022 entra nel team Maurizio Gily, come consulente agronomo. L'obiettivo è quello di migliorare la conduzione dei vigneti per affrontare al meglio la sfida del cambiamento climatico e ricercare nuove parcelle e nuovi vitigni da produrre.
Chi è Davide Canina
Davide Canina, ingegnere, dal 2008 sposa la sua passione per il vino diventando sommelier professionista. Dal 2014 è responsabile di carte dei vini di ristoranti stellati in Piemonte. È anche docente presso la scuola AFP Colline Astigiane. Inoltre dal 2019 è direttore dei corsi ASPI Monferrato delegazione dell'Associazione Sommellerie Professionale Italiana (ASPI) unico membro italiano di ASI–Association de la Sommellerie Internationale fondata a Reims nel 1969. Anche a livello di stampa e di guide sui vini i risultati sono molto positivi. Tra i più recenti il SOLE del Seminario Veronelli con il Grignolino d'Asti Parcella 505 annata 2021 e il Grignolino 2021 con finale per i 3 Bicchieri del Gambero Rosso.