La filosofia e le sue voci - 07 settembre 2024, 09:30

Godimento della verità

Nuovo appuntamento con le riflessioni di Simone Vaccaro, per la rubrica "La filosofia e le sue voci"

Immagine elaborata da Arena Philosophika

 

Già, la felicità della vita è il godimento della verità 

Agostino, Le confessioni

Ritorno su due temi in questa rubrica già affrontati in passato - verità e felicità - unendoli e intrecciandoli tra loro e con il godimento e le sue implicazioni. L'occasione dell’incrocio concettuale è offerta dal passaggio da cui oggi prendo le mosse, un piccolo ma significativo estratto delle Confessioni di (Sant’)Agostino. Il passo è di grande importanza per almeno due ordini di fattori: 1) associa felicità a verità, anzi, ancora più profondamente, al godimento della verità, ovverosia all’esperienza della verità, alla concreta fruizione del vero. Felice non è colui che realizza un obiettivo sensibile, ma esterno all’individuo stesso. Felice, invece, è chi sappia cogliere ed esperire il vero non come realtà astratta, ma come motore interno alle cose stesse. E 2) trova in Dio, nel Dio cristiano, il perno di rotazione sostanziale su cui costruire questo collegamento. Questo aspetto ha avuto importanti conseguenze tanto nell’elaborazione concettuale delle dinamiche in gioco, quanto sull’evoluzione del concetto stesso di Dio. 

Associare felicità a verità implica affermare un movimento già presente nell' intellettualismo greco che individua nella finalità eudemonistica, ovvero nella ricerca della felicità, il fine della filosofia. In questo senso vanno lette le affermazioni che si concentrano sull’acquisizione della conoscenza per godere di felicità piena: se so senza tema di inganno o opinione instabile, so la verità; e se so la verità non posso comportarmi che conseguentemente. Che cosa resta di altro da fare? So, dunque sono nella verità e per questo felice. Come sottolineano gli autori del notevole volumetto Felicità e desiderio, per gli antichi la felicità aveva natura teleologica, ovvero era il fine cui tendere gli sforzi filosofici. Con Agostino le cose si ribaltano.

Perché la felicità non è più un fine, ma il punto di partenza. Non si tratta più di intellettualismo etico, ma di una memoria vivente che riconosce di essere mancante di una componente essenziale: felice è, allora, colui che sa risalire con la memoria, all’interno della memoria, al contatto con Dio, a quel Maestro interiore che ci aveva pensati molto prima della nostra esistenza terrena. La felicità è indagata, quindi, secondo un approccio fenomenologico, che sa carpire con perspicacia di essere invischiati con la realtà, così come essa si dà a noi. È questo esperire il darsi della verità, prima di ogni cognizione, ma non per questo grettamente irrazionale, che ha saputo configurare Agostino. Rivolgersi così a Dio significa avere ben chiaro in mente l’istanza da cui tutta la realtà ha avuto scaturigine. Felicità è saper vivere questo reale, farlo proprio senza cedere a pseudo-principi tutti esterni. Detto meno oscuramente, non è la formula della felicità a farmi felice, ma l’esperienza della stessa

Simone Vaccaro