Un Occhio sul Mondo - 27 luglio 2024, 09:00

"Israele e il terzo principio della dinamica"

Il punto di vista di Marcello Bellacicco

Il Terzo Principio della Dinamica recita che “se un corpo A esercita una forza su un corpo B, allora il corpo B esercita su A una forza uguale e contraria”. Praticamente è quel Principio dell'azione e reazione che Israele sembra conoscere in gran parte, ma non del tutto. Indubbiamente applica la parte relativa alla reazione contraria dopo aver subito un'azione, ma di certo ignora, pressoché costantemente, che tale reazione debba avere una forza uguale all'azione che l'ha provocata.

Negli ultimi tempi questa sproporzione della risposta è sicuramente valsa per la Striscia di Gaza, che a fronte dei 1139 morti patiti da Israele nel brutale attacco del 7 ottobre, ha sinora subito quasi 39.000 morti e la quasi totale distruzione. Per avere un'ordine di grandezza, si pensi che, sinora, l'aggressione russa ha provocato circa 10.000 morti ucraini.

Ma questa interpretazione israeliana della fisica è valsa anche in occasione dell'attacco degli Houti a Tel Aviv, condotto il 10 luglio scorso con un drone, presumibilmente di fabbricazione iraniana, che ha volato per 2000 km dallo Yemen, per arrivare ad esplodere nel centro della Capitale israeliana, causando un morto e 10 feriti. Per assistere alla reazione sono bastate poche ore. Cacciabombardieri con la Stella di David hanno pesantemente bombardato il porto yemenita di Hodeida, causando 6 morti, 87 feriti e ingenti distruzioni, in quanto tale struttura viene considerata il punto d'arrivo dei rifornimenti iraniani agli Houti.

Ragionando cinicamente, in termini di vite umane, stavolta la reazione è stata quasi uguale, ma questo bombardamento ha comunque segnato una svolta nella situazione di crisi della Regione. Significativo, a tal proposito, un passo della dichiarazione del Premier Netanyahu a seguito dell'attacco della sua aeronautica. “Questa operazione ha colpito obiettivi a 1800 km dai nostri confini. Rende chiaro ai nostri nemici che non esiste luogo in cui non possa arrivare il lungo braccio di Israele”. Sostanzialmente, Tel Aviv ha confermato al mondo che, qualora voglia colpire, non si porrà alcun problema di limite di confini, di rispetto degli spazi aerei e di violazione di territori sovrani. Come d'altra parte ha fatto in questi decenni, anche in contraddizione di quanto previsto dalle 69 Risoluzioni che il Consiglio di Sicurezza ha sinora emanato sulla questione Israelo-palestinese (20 sono state bloccate dal veto degli Stati Uniti).

Ma stavolta, l'attacco Houti a Tel Aviv potrebbe costituire una svolta significativa, per molti aspetti. Intanto, dopo l'attacco al porto yemenita l'Arabia Saudita, che si trova proprio tra Israele e lo Yemen, si è affrettata a dichiarare che non accetterà violazioni del proprio spazio aereo. E Riyadh non è di certo un attore di secondo piano nella Regione.

Colpire Israele al cuore, anche se con un solo piccolo drone, è stato indubbiamente un salto di strategia da parte degli Houti, sia perchè sono riusciti a superare tutte le difese aeree di Tel Aviv sia perchè l'attacco non è stato un assolo, ma si è inserito in un quadro di molteplici azioni contro Israele, condotte da altri soggetti. Infatti, pressoché contemporaneamente, un altro drone lanciato da una milizia sciita irachena colpiva la città di Haifa, mentre colpi di artiglieria di Hezbollah si abbattevano sulla Galilea,

Azioni limitate, ma molto probabilmente coordinate, il cui effetto ricercato non era tanto l'entità dei danni arrecati, quanto piuttosto quello di lanciare un chiaro segnale, sia ad Israele che al suo mentore americano, che il cosiddetto “Asse della resistenza”, costituito dall'Iran e dai suoi alleati medio-orientali, è sempre più unito, determinato e, soprattutto, coordinato. Uno sviluppo che era assolutamente prevedibile, che Washington aveva messo in conto e che ha cercato di contenere, intervenendo militarmente nel Mar Rosso e soccorrendo Israele durante l'attacco di droni da parte dell'Iran di metà aprile. Tuttavia, il tentativo americano di contenimento dell'escalation nella Regione, per una volta non fa dell'opzione militare il suo perno principale, ma era ed è tuttora principalmente rivolto verso il governo israeliano, con continue pressioni per cercare di equilibrarne le reazioni, nell'ottica di riportare Israele al pieno rispetto del Terzo Principio della Dinamica e, di conseguenza, al rispetto delle norme internazionali.

Sinora però ogni tentativo USA si è rivelato pressoché vano, perché Tel Aviv sta proseguendo imperterrita sulla sua strada. Lo sta facendo a Gaza, con decine di morti civili quasi ogni giorno, provocati da azioni militari violente contro reali o presunti obiettivi di Hamas. Attacchi che vengono preceduti di poche ore da inapplicabili ordini israeliani di evacuazione per centinaia di migliaia di palestinesi. Lo sta facendo in Libano, che rimane comunque uno stato sovrano, colpendo presunti obiettivi di Hezbollah con interventi aerei che, spesso, di chirurgico hanno ben poco.

Lo sta facendo anche utilizzando l'arma dei coloni (che non è da meno delle opzioni militari), occupando illegalmente ulteriori territori in Cisgiordania, un'area ad est di Israele, abitata da circa 3 milioni di Palestinesi la quale, secondo i trattati (Accordi di Oslo – 1993), dovrebbe essere sotto il controllo congiunto Israelo-palestinese. Ai primi di luglio, il governo di Netanyahu ha approvato la realizzazione di seimila abitazioni per coloni (il più grande insediamento dal 1993), con le beffarde dichiarazioni del Ministro Bezalel Smotrich, esponente dell’estrema destra sionista, “Grazie a Dio, stiamo costruendo e sviluppando gli insediamenti e ostacolando il pericolo di uno Stato palestinese“ e riguardo a queste 5 nuove colonie “una per ogni Paese che ha riconosciuto unilateralmente la Palestina”. Inutile dire che la condanna unanime di questo atto da parte della UE è passata inosservata e lo stesso destino subirà la storica sentenza della Corte Internazionale di Giustizia dell'ONU, del 19 luglio scorso, che ha dichiarato illegale l'occupazione di Israele che dura da 57 anni.

Tutto ciò sta rapidamente dilapidando quel patrimonio di relazioni pacifiche o perlomeno non più bellicose con il mondo arabo, che era stato faticosamente costruito da leader israeliani decisamente più illuminati e che aveva creato ben più di un alito di speranza di stabilità in tutta la Regione.

Tel Aviv sta mettendo a dura prova la sopportazione di Paesi moderati qual'è la Giordania, come recentemente dichiarato dall'Ambasciatrice di Amman a Washington. La stessa dichiarazione saudita sullo spazio aereo lo dimostra concretamente e costituisce un atto ufficiale imposto dalla terra bruciata, che le stragi a Gaza hanno determinato nell'opinione pubblica araba, anche quella più moderata.

E l'attacco israeliano nello Yemen, per quanto ritorsivo, ha ulteriormente peggiorato la situazione. Gli USA hanno strenuamente cercato di convincere Tel Aviv di non reagire direttamente agli Houti e di lasciare alle Forze Anglo-americane, appositamente schierate nell'area, il compito di punire l'organizzazione yemenita, colpendola nelle sue basi, come sinora fatto. Ma è stato inutile, ancora una volta è partito l'embolo della vendetta, immediata e feroce che, indubbiamente, nell'immediato può lenire la rabbia ed i rancori, ma che è deleteria per la costruzione, più globale e proiettata, di un nuovo futuro assetto di stabilità.

Un tipo di stabilità che, sicuramente, non piace ad altri “coinquilini medio-orientali” di Israele come l'Iran i quali però, in questo momento, stanno perseguendo con successo i loro obiettivi, paradossalmente trovando proprio nell'attuale atteggiamento di Tel Aviv la loro sponda migliore. Di questo ne sono assolutamente consapevoli, cosi come sono consci che, in questo momento storico, la reazione israeliana alle loro provocazioni sarà sempre e comunque avulsa dal Terzo Principio della Dinamica, perchè sarà sempre e comunque spropositata, violenta e spesso estranea al contesto del Diritto internazionale.

E tutto ciò, come sanno bene ONU, UE e Stati Uniti, può costituire un fattore catalizzatore inarrestabile, per una situazione conflittuale ad alta intensità in una Regione che influisce su una buona parte degli interessi occidentali.

Marcello Bellacicco