Nell’era digitale, i social media sono diventati una parte integrante della vita degli adolescenti. Tuttavia, il loro uso ha portato nuovi pericoli, tra cui la partecipazione a sfide virali che possono essere anche letali. Di questi pericoli abbiamo parlato con Giancarlo Marenco, astigiano, presidente dell'Ordine degli psicologi del Piemonte e Andrea Lazzara, anche lui psicologo e componente del direttivo.
"Il concetto di sfida - spiegano i due psicologi - è sempre esistito, soprattutto in adolescenza, quando più evidenti sono le esigenze di mettersi alla prova nei confronti degli altri, ma anche del proprio corpo. Quello che è cambiato, piuttosto, è la necessità molto più sentita da parte delle nuove generazioni di trovare ed ottenere l'accettazione dell'altro. Questo sentimento è ovviamente sentito in tutte le età. Tuttavia, è in adolescenza che questo bisogno si fa particolarmente pressante. Durante questa fase di vita, si consolidano le prime domande su se stessi: chi sono? quanto valgo? chi sono e quanto valgo agli occhi degli altri? Questa forma di auto-interrogazione può essere parecchio assillante per molti adolescenti. Una risposta negativa a queste domande esistenziali può produrre una sofferenza emotiva consistente, poiché tocca aspetti identitari molto intimi"
Un pericolo, soprattutto in una fase delicata della vita
L’adolescenza è un periodo di rapido sviluppo e cambiamento. Gli adolescenti cercano di formare la propria identità e di trovare il proprio posto nel mondo. Questo processo può portare a comportamenti impulsivi e decisioni avventate, soprattutto quando sono influenzati dai pari o dai media. In altre parole, l’adolescente trova quindi la propria sana comfort zone solo se percepisce intorno un clima di “consenso” sulla sua persona. Questo feedback esterno rinforza la sua fiducia di base. Al contrario, esperienze deludenti nei rapporti con i coetanei possono infliggere colpi dolorosi all’autostima.
Che ruolo giocano i social in tutto questo?
I social media hanno un ruolo significativo nella vita degli adolescenti. Offrono un mezzo per esprimersi, connettersi con gli amici e rimanere aggiornati sulle ultime tendenze. Tuttavia, i social media possono anche esercitare una forte pressione sociale. Le sfide virali, in particolare, possono sembrare un modo per guadagnare popolarità e accettazione. Sentirsi parte di un gruppo è un’esigenza fondamentale per la crescita. Ci si può riferire al gruppo ristretto degli amici più prossimi o addirittura al gruppo dei più popolari a scuola. L’aspirazione a far parte di un gruppo del genere può spingere alcuni adolescenti a comportamenti estremi. Insomma, in un certo senso non è cambiato nulla rispetto alle sfide in auto che faceva James Dean in "Gioventù bruciata", solo che oggi c'è un ulteriore elemento di complicazione.
Che sarebbe?
I social network, con la loro immediatezza, sono come specchi che riflettono istantaneamente le emozioni, i pensieri e le reazioni degli utenti. Questa velocità di comunicazione ha un impatto significativo sulla nostra vita quotidiana. L’immediatezza dei social network amplifica le emozioni. Un post che riceve molti “mi piace” o commenti positivi può farci sentire felici e accettati. Al contrario, un commento negativo o una critica possono ferire profondamente. Questa amplificazione può influenzare il nostro umore e autostima. Lo stesso discorso si può fare, ovviamente, per determinate azioni che sono conseguenza di questo sistema: non esiste una mediazione.
Perché gli adolescenti, secondo voi, accettano le sfide sui social media?
Ci sono diverse ragioni psicologiche per cui gli adolescenti potrebbero sentirsi attratti dalle sfide sui social media: partecipare a sfide può essere visto come un modo per esprimere la propria individualità e creatività. Essere protagonisti di questi gruppi diventa un motore importante per molte azioni degli adolescenti. Tuttavia, se questo desiderio viene sentito come impossibile, la reazione può essere quella della chiusura verso il mondo. È un po’ l’altra faccia della medaglia di questo bisogno di accettazione, una sorta di sindrome di Hikikomori.
Ultima domanda: cosa potrebbe fare la famiglia?
Spesso oggi si tende a colpevolizzare la famiglia, ma è importante ricordare che i giovani vivono in un contesto in cui i metodi educativi proposti dalla famiglia vengono costantemente smentiti o condannati e nel quale ciò che conta e che viene proposto dai mass media, dai social, da internet, dalla società, spesso non coincide con i valori importati dalla famiglia. Un altro aspetto da considerare è che i social network sono un terreno complesso e in continua evoluzione. Anziché colpevolizzare i genitori, dovremmo cercare di comprendere le sfide che entrambe le parti affrontano nell’era digitale e lavorare insieme per creare un ambiente educativo positivo e consapevole per i nostri figli.