Lunedì 8 gennaio Dacia Maraini ha presentato “Vita mia: Giappone, 1943. Memorie di una bambina italiana in un campo di prigionia” (Rizzoli).
Ne ha discusso con Nicoletta Fasano, direttrice dell’ Israt. L’incontro è stato organizzato da Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese – I.C. di San Damiano, Museo e Comune di Cisterna con Fra Production Spa, Israt, Casa della Memoria della Resistenza e della Deportazione di Vinchio, Ass. “F. Casetta”, Gazzetta d’Asti, Lib."Il Pellicano" e Aimc di Asti.
Un dialogo che ha accompagnato i presenti in un viaggio nella storia, quella che, purtroppo, molti italiani preferiscono non ricordare o ascoltare. Come ha sottolineato Nicoletta Fasano, la famiglia Maraini – che si trova in Giappone come altri italiani dopo l’ 8 settembre ‘43 – rifiuta di giurare fedeltà alla Repubblica di Salò. Tutti i componenti sono arrestati con l’accusa di tradimento e condannati alla detenzione in un campo di concentramento giapponese.
Una storia di Resistenza
Così padre, madre e tre figlie, vengono reclusi. Tra loro c’è la piccola Dacia che ha solo 7 anni ed è la sorella maggiore. Rimangono in quel campo per due anni. In quel momento, in Giappone sono presenti 3000 italiani ma solo 18 si oppongono al fascismo mettendo a rischio la propria vita come atto di resistenza civile. “È un libro doloroso ma le guerre di oggi mi hanno convinto a scrivere.
Le idee sono astratte ma è importante per i sopravvissuti raccontare. Quando siamo tornati, c’era voglia di dimenticare anche da parte di chi ci stava intorno. Dicevano che, in fondo, non dovevamo essere stati così male. Invece è importante testimoniare. Mia madre aveva chiesto che ci lasciassero presso persone fidate ma le fu proposto solo un orfanotrofio che, successivamente, venne bombardato. Allora, meglio restare tutti insieme. Ogni giorno le guardie ci dicevano che, se avessero vinto la guerra, ci avrebbero tagliato la gola. Noi non sapevamo cosa sarebbe successo. Per me era terribile, oltre la fame, i parassiti, poi bombe, terremoti… Ogni sera mi stupivo di essere ancora viva. Si può morire dentro anche se non si muore fuori. I miei genitori mi hanno sostenuto. Mia madre mi ha insegnato che bisogna resistere e mi è servito anche dopo perché ho vissuto tanti momenti difficili. La serenità di oggi mi viene da mia madre che era sempre positiva” ha detto la scrittrice.
Un incontro, una storia che non è solo quella di una famiglia ma è anche quella del nostro Paese ancora incapace di fare i conti con il proprio passato.