La filosofia e le sue voci - 01 aprile 2023, 09:00

La tridimensionalità della memoria

Nuovo appuntamento con le riflessioni di Simone Vaccaro, per la rubrica "La filosofia e le sue voci"

Immagine elaborata da Arena Philosophika, dell'artista Mr. Toonist

Bisogna tener conto del fatto che il percepire finisce con l'essere soltanto un'occasione per ricordare

Henri Bergson, Materia e memoria

Sono due delle nostre facoltà più immediate, delle nostre capacità che possediamo fin da piccoli e che non richiedono nessuna costruzione concettuale o edificio teorico per il loro assolvimento. Percezione e memoria sono strettamente solidali e dalla loro unità può prendere forma la nostra stessa esperienza del mondo in quanto esseri umani. Hanno una stretta natura antropologica in quanto rendono possibile il nostro stare al mondo, il nostro relazionarsi con il mondo nelle sue implicazioni pratiche. Ma quale rapporto intercorre tra percezione - che siano soliti localizzare nel presente, nel momento stesso in cui essa avviene - e memoria - che ordinariamente è l'affioramento di un tempo passato che getta la suo ombra sul presente (al limite mostrandosi come presente più o meno flebile; basti pensare alla rievocazione di un ricordo d'infanzia: chi potrebbe negare che il ricordo sia percepito ora? Ma chi potrebbe al contempo negare che non sia vivido quanto un'esperienza vissuta in presa diretta?)? 

In filosofia, affrontare tale rapporto complicato comporta il reinserimento all'interno di quella problematica più generale che è il conflitto tra corpo e anima, tra materia e spirito. Ed è questo il centro della riflessione del saggio Materia e memoria di Henri Bergson (1859-1941). In realtà, ad essere il centro dell'argomentazione è il concetto di immagine. E la domanda è tanto semplice quanto spiazzante: le immagini sono realmente costruite da un soggetto che organizza una molteplicità di dati caotici? Il che vuol dire: esiste un corpo, una materia, una esteriorità che si contrappone ad un'anima, uno spirito, una interiorità? Insomma, dobbiamo realmente pensare che ci sia un essere passivo da una parte, totalmente malleabile e disposto ad essere perfettamente adeguato ai desideri o alle schematicità presenti nella costituzione fisiologica del nostro cervello? 

Le immagini, per Bergson, sfuggono a queste dicotomie perché hanno natura primariamente motoria. Il filosofo francese lo afferma fin dalle prime pagine del suo saggio: l'immagine è meno di una cosa - così come la intende il realista ingenuo, ovvero come qualcosa che esiste nel cosiddetto mondo esterno - ma anche meno di una rappresentazione - un costrutto che un buon idealista si fa della realtà. Ma che cosa è allora? È una condizione di possibilità. L'immagine è ciò che permette alla percezione del mondo di costituirsi e di costituirsi proprio in riferimento a uno dei due elementi che compongono la dicotomia: la materia. Ma la percezione, di per sé, non può avvenire senza l'intervento della profondità che sa ricollegare le molteplici immagini in unità. La memoria si presenta allora come quella facoltà che permette l'incontro tra la materialità con l'altra metà della contrapposizione: lo spirito. Spirito e materia sono così ricongiunte, sebbene non identificate e confuse. Bisogna ammettere, però, che Bergson stesso propenda per la memoria: è lo spirito a rappresentare l'attività e lo spirito si pone come corrispettivo delle immagini ben più efficacemente che la materia.

Come che sia, risulta assai importante considerare, per le influenze che ha avute, anche sotterranee nel pensiero francese del Novecento, l'aspetto personale, individuale e tridimensionale della memoria: essa è il filo rosso di una identità, è la continuità temporale che sa visionare la differenza di passato, presente, futuro e l'appropriazione di una materia che diviene così il mio corpo. 

Simone Vaccaro