Avevo voglia di leggere un libro sulla musica.
Però dovevo anche scrivere questo articolo di letteratura astigiana.
E quindi mi son detta, sai che c’è, io prendo due piccioni con una fava e mi leggo “Rock Therapy” di Massimo Cotto, tiè.
Massimo Cotto è dj di Virgin Radio, autore, conduttore, presentatore e giornalista astigiano.
Il che gli ha permesso di fare della sua vita un costante e carnale rapporto col rock.
Ha intervistato gente che ha scritto la storia del rock, possiede un patrimonio culturale di aneddoti e citazioni immenso.
E fa un po' ridere che io mi metta a scrivere di una bestia del genere dato che il mio, invece, di rapporto col rock, esiste solo in funzione di quelle tre fugaci ore a settimana in cui mi alleno. Perché mi alleno all’Athletic e all’Athletic si ascolta solo Virgin Radio. E imparo qualcosa solo perché Plivio mentre mi spotta con lo squat mi urla “leonessa, RUGGISCI CHE C’È OZZY OSBOURNEEE”
Quindi mi son chiesta “ma io, che conosco i Metallica solo per quell’unica canzone che manco rappresenta il loro stile, sarò in grado di apprezzare questo libro?”
Praticamente è una playlist cartacea. So cosa state pensando, che con Spotify fareste prima. Eh ma no perché Cotto ti riordina questa guida in trentatré capitoli in cui ciascuno è un malessere da curare, un malumore, un malanno.
Stai patendo per amore? Hai il mal di gola? Devi partire un viaggio? Soffri d’insonnia?
Il farmacista del rock ti dà la terapia completa. “Ehh ma con Spotify faccio prima!”
Oh. E che cavolo. Ma spotify l’ha fatto pranzo a casa di Leonard Cohen? Spotify vi cita Proust, Pessoa, John Ford, Lost in Traslation affianco a Courtney Love? Ti dice che Hendrix colazionava con gli spaghetti all’aglio?
Non credo.
E allora beccati sto ricettario.
Questo non è un sommario delle tracce fondamentali del rock. Qui ci sono segreti e ricordi personali. E poi Cotto ha una padronanza lessicale che, mamma mia, quando ti dice che The End racchiude il vagare filosofico e umano dei The Doors, che è una litania di dolore e bellezza orientale, il sogno e l’incubo, istinti primordiali e disperazione, che è un canto epico e maledetto ma tu, allora, che altro puoi fare se non restare zitto e ascoltare?
“Ogni volta ti arriva una sfumatura diversa.
Quando pensi di aver capito il rock, ti porta sempre da un’altra parte.
Esce sempre dalla cornice, come tutte le cose belle della vita”
Ogni capitolo ha una decina di canzoni descritte in neanche mezza pagina.
Io, man mano che leggevo il paragrafo cercavo il brano su Youtube ascoltandolo come sottofondo alle sue parole. Ne è uscita una roba pazzesca. Una roba che ha trasformato la mia vergogna del non conoscere Mark Lanegan nella meraviglia di poter ascoltare Kingdoms of Rain per la prima volta con il farmacista che intanto mi diceva “biglietto da visita della malinconia; evoca inquietudini e minimalismi di desolazione; le sue storie raccontano di anime fuori mano ma mai fuori fuoco; un crepuscolare che inchioda”
Ho ascoltato 344 brani del rock dai primi del Novecento ad oggi in quattro giorni.
Come mi sento? Vabbè un po' frastornata. Ma anche espansa. Quasi come se avessi aggiunto uno strato più profondo ad ogni gamma delle mie emozioni.
“Ridurre la musica a sottofondo di altro significa metterla in secondo piano, quando invece è lei stessa il principio attivo”
Un campionario musicale vastissimo.
Dal blues, al country, al folk. Dalla ribellione degli anni sessanta al grunge dei novanta passando per quel rock che si è fatto portavoce di rivolte.
Testi, tematiche, atmosfere evocate, bassi deliranti, chitarre sgocciolanti; bombe energetiche e cadute malinconiche; suoni che sanno di montagne e deserti.
“Are we human or are we dancers?”
Massimo Cotto mi dice che Screaming canta I put a Spell on You completamente ubriaco, la urla come un ossesso e ne esce un sabba infernale. La casa discografica censura buona parte di questo rito macabro e maledetto e però: vende oltre un milione di copie.
E che Appetite for Destruction finisce con i gemiti registrati di Adriana e Axl che fanno sesso in sala prove.
Mi dice di piazzarmi in spiaggia d’estate con gli Eagles nelle cuffiette, Iggy Pop e Knockin’ on Heaven’s Door che fanno sanguinare il rock e fanno sciogliere pure il sole.
Mi dice che per connettermi a me stessa posso fare yoga oppure farmi distendere dai sette minuti sperimentali di Time.
Ho ascoltato Sparklehorse e mi sono detta che un po' avrà fatto male anche a lui scrivere questo libro. Abrasivo.
Invece, madò, ai consigli di canzoni per viaggiare non riuscivo a star ferma sulla sedia: “il sole della California che brucia come l’inferno, la strada davanti al finestrino si spalanca come si aprono i sogni, nello specchietto è riflessa l’adolescenza”
Sono d’accordo quando dice che Redemption Song redime davvero.
E poi, Tori Amos, i Beatles, Cindy Lauper, David Bowie, Joni Mitchell, Bjork, Lana Del Rey, Juliette Greco, Patti Smith, The cure, gli Iron Maiden, Marilyn Manson, Mike Posner, Robert Johnson, X Ambassadors, gli Imagine Dragons.
Il punto è che il rock ti è dentro.
È una cosa a cui appartieni ancestralmente senza che tu lo sappia.
Ti vibrano dentro radici primitive, ti fa ritornare a quella nudità sacrale e terrosa un po' come l’odore della pioggia.
Ho esplorato il tessuto sonoro.
Ora ho tantissima voglia di muovermi, di continuare a cercare.
Leggetelo, buona terapia!
(Grazie a Max, Lidia e Plivio che senza di loro a quest’ora manco saprei dell’esistenza di Virgin Radio. E di altre cose belle della vita, forse).