Sulla base dell’onda emotiva scatenatasi anche sui social dopo la notizia del suo decesso, avvenuto mercoledì al Policlinico Militare del Celio, dove era ricoverato da alcuni giorni, è probabile che domani mattina molti ex paracadutisti dedicheranno un ulteriore pensiero al Generale di Corpo d’Armata Franco Monticone in occasione dei funerali, in programma nella chiesa Salus Infirmorum del Policlinico Militare romano.
Del resto, quella di Monticone, nato ad Asti il 13 febbraio 1940 e pertanto scomparso pochi mesi dopo aver festeggiato gli 82 anni, è una figura iconica per i parà italiani e più in generale per la storia della seconda metà del Novecento dell’Esercito.
A sua volta figlio di un militare – il padre era sottufficiale di Marina – Monticone si è distinto come grande innovatore delle Forze Armate, con particolare riguardo per la Brigata Paracadutisti Folgore, cui giunse nel 1980 dopo essersi distinto, nel biennio precedente, alla guida del 9º Battaglione d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin” dove, su indicazione dei vertici militari e politici dell’epoca, creò ed addestrò una delle prime Unità di Intervento Speciale del nostro esercito, che venne impiegata con compiti di anti-terrorismo.
Seguì l’approdo alla Folgore, dove dal 1980 al 1985 ricoprì prima l’incarico di Capo di Stato Maggiore della Brigata e, dopo la promozione a Colonnello, quello di Vice Comandante. Quindi, dopo aver svolto ulteriori incarichi presso lo Stato Maggiore dell’Esercito, venne ulteriormente promosso a Generale di Brigata e nel 1998 assunse il comando della Folgore, che mantenne fino al 1991, apportando innovazioni e migliorie tecniche.
Successivamente, prima di congedarsi con il grado di Generale di Corpo d’Armata, svolte altri importanti servizi sia in Italia che all’estero, distinguendosi sempre per acume e dedizione.
Lambite, ma non scalfite, dal coinvolgimento, insieme ad altri militari, nella vicenda note come “Affare Lady Golpe” relativa un presunto colpo di stato che sarebbe stato ordito da alcuni esponenti di primo piano dell’Esercito, tra cui appunto Monticone.
La vicenda, generata dalle dichiarazioni di Donatella Di Rosa – moglie di un colonnello della Folgore e amante, per sua stessa ammissione, dello stesso Monticone, ribattezzata “Lady Golpe” dai giornali dell’epoca –, si concluse con la piena assoluzione del generale Monticone e la condanna per calunnia ed autocalunnia dei suoi accusatori.