Uno dei più grandi tesori che Asti ha consegnato alla storia dell’Italia e del mondo intero è rappresentato dalla sua produzione vinicola. La nostra città, infatti, tra Moscato e spumante ha scritto diverse importanti pagine dell’enologia italiana andandosi a configurare come una piccola capitale del vino.
Se la storia dello spumante è conosciuta più o meno da tutti quella che invece si sottende al Moscato D’Asti è un po’ più di nicchia e meritevole di maggiore attenzione anche all’interno dei portali non specializzati.
Quindi bando alle ciance e cerchiamo di ricostruire rapidamente i tratti principali della storia del Moscato D’Asti (senza dimenticare qualche informazione sul suo amico spumante).
Profumo di antichità
Secondo gli studi l’uva che da origine al Moscato d’Asti è la più antica tra quelle presenti sul suolo italico. L’origine del moscato viene collocata dagli studi all’interno del bacino medio-orientale del mediterraneo e diverse sono le testimonianze che certificano la presenza di tale vitigno all’interno della cultura dei greci e dei romani.
Questi infatti accompagnavano ai pasti importanti un certo muscatellum vinum, una bevanda derivata dalla lavorazione di un vitigno arrivato in Italia grazie agli sforzi dei greci. I romani, durante gli anni dell’impero, lo distribuirono in tutta l’Europa conquistata.
Già nel 1300 possiamo trovare documenti che parlano di come il moscato fosse ampiamente coltivato all’interno del Piemonte. Il nome Moscato fin da subito lasciava intuire alcune delle qualità del vino, vista la provenienza dal latino “muscum” ovvero muschio, proprio a causa del profumo intenso e del suo dolce aroma.
Con il passare degli anni la produzione di Moscato si intensifica in Piemonte, arrivando verso la fine del 1800 ad una produzione di circa 180.000 quintali l’anno. La principale zona di coltivazione era rappresentata da Canelli, seguita poi da Santo Stefano Belbo, Calosso, Strevi, Castiglione Tinella, Acqui Terme e Ricaldone. Tutti questi luoghi, anche al giorno d’oggi, sono conosciuti per essere delle vere e proprie mete per chiunque voglia immergersi nel Moscato e scoprirne il ciclo vitale.
Un successo incontenibile
Il Moscato iniziato a diventare famoso un po’ in parallelo all’inizio della spumantistica piemontose. Intorno al 1865 Carlo Gancia torna a Canelli dopo aver appreso i trucchi del mestiere del produttore di champagne all’interno delle cantine e delle cave di Epernay. Tornato in patria inizia a produrre le prime bottiglie di spumante italiano, chiamato per l’occasione “Moscato Champagne” proprio seguendo il nome del vitigno utilizzato per la realizzazione.
Inizialmente la produzione di questo video era fatta all’interno di particolari bottiglie chiamate “Asti Pesanti”. Tale nome era collegato alla fattura della bottiglia, capace di resistere fino a 10 atmosfere di pressione; storicamente l’inizio della produzione del Moscato era considerata particolarmente pericolosa e, pertanto, chi si occupava della manutenzione della cantina doveva visitarla attrezzato di tutto punto: grembiuli di cuoio e maschere da scherma, infatti, erano considerati indispensabili poiché servivano per proteggersi dalle esplosioni delle bottiglie causa da rifermentazione incontrollata.
Con l’arrivo delle autoclavi a ridosso della seconda guerra mondiale ad Asti si comincia ad utilizzare il metodo Charmat e Martinotti su scala industriale, così da raggiungere la produzione di un milione di bottiglie l’anno sfruttando il vitigno moscato. Questo porterà definitivamente i nomi di Asti e Canelli sulle cartine geografiche.
Il potente sapore di questo vitigno si adatta alle occasioni più disparate: da accompagnare cibi prelibati a festeggiare una vittoria su I migliori siti di scommesse inglesi per gli italian.
Sia il Moscato d’Asti che l’Asti Spumante nel corso degli ultimi anni hanno avuto grande successo, tanto che la produzione nel primo quadrimestre dal 2020 al 2021 è aumentata dell’11,89% arrivando a quasi 30 milioni di bottiglie.