In 264 luoghi della cultura sparsi per gran parte d’Italia, si sta svolgendo in questi giorni una bella iniziativa di coinvolgimento del mondo della scuola da parte del FAI. 264 posti bellissimi raccontati da studenti, in un'esperienza di cittadinanza attiva e di arricchimento culturale. Una buona ventina in Piemonte. Il tutto online, prima ancora che per le problematiche pandemiche, per acompagnarli verso produzioni culturali sempre più in digitale e fruizione sempre meno in presenza. Per farli sentire parte di una Comunità. Bravo FAI, ottima iniziativa. Su 264, crepa però ce ne fosse uno in provincia di Asti, crepa ci fosse una classe o anche un solo studente coinvolto.
I nodi che ‘sto accidenti di virus sta lasciando da sciogliere sono tanti e non certo da poco; tra questi anche quelli legati alla cultura: dal rischio di viverla come bene superfluo all’insostenibilità gestionale delle imprese culturali, fino alla necessità di ripensarne il modello di business e di fruizione. Ripensarlo per le nuove generazioni in un’ottica di titolarità culturale, tramite la conoscenza e la presa in carico del loro, e nostro, patrimonio. Facile per una chi uso ai vantaggi della sharing economy. E allora perché, accidenti, non mettersi a disposizione, anche dalle nostre parti, del progetto Scuole Fai?
Capiamoci, non è un disastro il sapere di questa assenza, ma un brutto sintomo di scarso interesse. Non certo dei giovani, ma di chi ha dovere ed onere di indirizzo e supporto. Uno dei sintomi del continuare a dare un peso accessorio sia al valore educativo e formativo di storia, cultura e tradizioni locali, sia della loro valenza identitaria con valori e sentimenti non proprio da poco, tipo l’orgoglio dell’appartenenza, la capacità di continuare a tramandare storie e di trasformare il tutto in un motore di crescita sociale ed economica. E’ indubbio che monumenti, musei o opere d’arte siano piattaforme di benessere esperienziale in cui coinvolgere, con la partecipazione, i nostri giovani; vitali spazi pubblici da vivere nel loro importante ruolo nello sviluppo di legami e di coesione sociale, nella costruzione di cittadinanza e identità collettiva.
Anche nella cultura nulla sarà più come prima. E’ un dato di fatto. Daremo meno peso a trionfali dati di visite o di visitatori, a favore di nuova attenzione ai luoghi di prossimità. Sentieri che guarderanno prima di tutto ai cittadini, ricercandone la partecipazione anche grazie alle tante potenzialità del digitale. E chi meglio dei giovani per cominciare a prendere in carico il complesso di risorse che chiamiamo patrimonio culturale? Chi meglio di loro per continuare ad averne cura a livello individuale e come comunità? Chi meglio di loro per farlo anche online?
Il gioco potrebbe perfino essere facile: attivare i giovani, direttamente nelle scuole, quali driver di coinvolgimento dei molti, ampliandone gli interessi, educandosi nell’educare. Driver naturali per migliorare l’uso del digitale di tutti, utilissimo per cogliere la diffusa titolarità di storie, beni e cose e per promuovere dal basso i luoghi. Perché allora non cominciare?